Page 412 - Libro Sacro Monte di Varallo
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pella è raffigurata in una grande litografia in cui il tavolino è intonato alla so- lennità dell’aula: le gambe sono a foggia di lunghi arti leonini, sormontati da teste pure leonine, alate, a reggere il piano della mensa. È questo un tavolino di classica suggestione, che fa subito pensare agli arredi fastosi della reggia torinese e del castello di Racconigi, voluti dal re Carlo Alberto, disegnati da Pelagio Pela- gi e per lo più eseguiti dal grande ebanista Gabriele Capello, detto il Moncalvo. Potrebbe trattarsi di un lavoro di pregio, di rara accuratezza, uscito dal La- boratorio Barolo di Varallo, diretto da valentissimi intagliatori ed ebanisti. Né l’opera è lontana dal gusto e dalla cultura dello stesso Michele Cusa, che fu a To- rino professore all’Accademia Albertina di Belle Arti ed autore di vari dipinti, proprio su incarico di Carlo Alberto per Palazzo Reale, tanto da farmi pensare che il piccolo tavolo possa essere stato disegnato da lui. Dopo la pubblicazione del volume del Cusa, le successive guide del Sacro Monte, per lo più, ricopiano e riproducono la sua grande litografia in dimen- sioni ridotte, senza varianti, sempre con l’elaborato e sontuoso tavolino, fino alle soglie della seconda guerra mondiale. Però nelle fotografie della cappella d’inizio secolo, mi riferisco in particolare a quella della guida di Don Natale Apostolo del 1911, non avendone sotto mano altre anteriori, compare già l’u- mile piccolo tavolo attuale, ricoperto in parte soltanto da un tappeto di antica stoffa. Più avanti nel tempo ed ai giorni nostri il tappeto sarà ancora più ridotto a dimensioni veramente misere. Ma allora l’aulico arredo raffigurato dal Cusa è veramente esistito o no? Ven- ne collocato nella cappella, vi rimase per alcuni decenni? E se così è, perché fu tolto e quando, dove fu trasferito, dove è finito? Gli interrogativi sono molti. E’ un piccolo giallo, uno dei tanti misteri minori di cui è costellata la vicenda cinque volte secolare del nostro Sacro Monte. Non mi stupirei, se non si trovano altre notizie, altre conferme al riguardo, che il tavolino raffigurato dal Cusa fosse solo un suo pio ed apprezzabile desi- derio, un auspicio di cui sentiva l’esigenza, non realizzato nella realtà, ma solo, ed assai più facilmente immaginato e rappresentato nella litografia per maggior decoro della cappella. Tutta questa vicenda, di secondaria importanza, mi invita però non solo a presentare il problema, ma soprattutto a formulare una proposta, per altro assai facilmente risolvibile se non si ritrova il misterioso tavolino, non certo con il fabbricarne un altro, che sarebbe fuori luogo e fuori tempo, ma soltanto rico- prendo pietosamente quello esistente con un ampio tappeto, come nel Settecen- to, che tutto lo nasconda, usufruendo di un qualche drappo di antica stoffa di 412 Cappella - 34
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