Page 415 - Libro Sacro Monte di Varallo
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accordarsi negli scenari del Sacro Monte”. Infatti il suo modo di dipingere tutto interiorizzato e meditativo, dai tim- bri sfumati e morbidi, era adatto per la riflessione, il raccoglimento, non tanto per una folla da coinvolgere e da impressionare con forti messaggi e con intense emozioni. Per di più monsignor Bascapè, sostenitore del Moncalvo, era ormai in condi- zioni di salute sempre più gravi, tanto che morirà il 6 ottobre dello stesso anno. Tuttavia la ragione fondamentale sta nei fatto che Giovanni d’Enrico doveva ancora dare inizio all’esecuzione delle statue. Intanto rientrava dopo circa tre lustri dall’Italia centrale il Tanzio, ed il suo dipingere focoso, animato, a vivi contrasti, doveva sembrare molto più consono alla tradizione del Sacro Monte. Viene infatti ben presto incaricato di affrescare la cappella di Gesù condotto per la prima volta da Pilato ( 1616-17), ed è umano pensare che Giovanni d’Enrico volesse fargli avere altri prestigiosi compiti, an- che per il loro pieno accordo dal punto di vista stilistico. Si attese quindi che il Tanzio avesse finito la sua prima, validissima prova sul Sacro Monte per affidargli l’incarico di affrescare il mistero della Lavazione delle mani, che dovette iniziare dopo un breve intervallo. Si può ritenere che mentre Giovanni, tra il 17 e il 18 stava eseguendo i gruppi statuari, si andasse concertando il piano progettuale per il ciclo pittorico, i sog- getti da rappresentare, ed il pittore iniziasse a tracciare i primi schizzi, i disegni di massima. Subito dopo, appena completata la parte scultorea, nel 18 appunto, il Tanzio dovette affrontare l’impresa e condurla a termine almeno entro il 20 in perfetta consonanza e piena, ideale collaborazione con l’opera del più anzia- no fratello. L’aula del Pretorio di Pilato, sotto il pennello del Tanzio si trasfigura in un maestoso salone d’onore d’un palazzo, o ancor più di una villa principesca ro- mana del tardo Cinquecento, di gusto manieristico, influenzato dal Vignola. Le tre ampie pareti, impreziosite da decorazioni a disegni geometrici di finti marmi, come nei palazzi romani tra Cinquecento e Seicento, si aprono in so- lenni archi, prospetticamente affacciati su ampie gallerie che circondano da tre lati il salone centrale, come un deambulatorio, con una soluzione che in parte anticipa quella che adotterà circa dieci anni dopo per la sala del trono di Erode, invertendone solo gli elementi. Qui la galleria, o porticato circonda all’esterno il salone; là si troverà all’interno, come il porticato di un cortile o di un chiostro. Ma sul quarto lato, quello di facciata, non c’è più la finta galleria dipinta in prospettiva a dar l’illusione ottica di un più ampio complesso architettonico, Per sfogliare il libro cliccare col mouse sugli angoli delle pagine e trascinare i fogli 415
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