Page 411 - Libro Sacro Monte di Varallo
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maggior effetto. Così il Butler alla fine dell’Ottocento scriveva: ‘’Una o due figure, special- mente quella che tiene un dito alla bocca in modo sarcastico, sono ottime”. Ed è un gran complimento per uno studioso infatuato del Tabacchetti, come era il Butler, a scapito del d’Enrico. La stessa osservazione riprende poi il Ravelli, mentre il Romerio (1912), si sofferma ad ammirare l’ansietà e l’incertezza “sul volto di Pilato, la ferocia dei Giudei, il tratto umile e paziente di Gesù”. Ma non è da dimenticare soprattutto sulla destra, il piede della figura dipinta che esce dal muro per diventare scultura vera sul pavimento: uno degli esempi più significa- tivi ed arditi della perfetta fusione e continuità tra pittura e plastica, tra l’opera dello statuario e quella del fratello pittore. La figura che però s’impone subito sul riguardante è quella posta al centro, in primo piano, colta arditamente, quasi sfacciatamente di schiena, avvolta da ridondanti, ammatassati panneggi, mentre sale lo scalino: una delle figure pla- sticamente più intense, una delle più emblematiche di tutta la produzione del d’Enrico. Ebbene, il maestro ne dovette essere pienamente consapevole, ne do- vette provare un’intima soddisfazione se, come ho avuto la fortuna di scoprire due anni or sono, sulla parte posteriore rispetto ai riguardanti, su quella cioè rivolta verso Pilato, incise nella terracotta ancor fresca una sigla, tipica di quelle usuali presso la popolazione alagnese, ma diversa da tutte le altre finora cono- sciute e catalogate, un monogramma che deve senza dubbio esser quello perso- nale del grande statuario: praticamente la sua firma.. E c’è veramente da sperare che in una futura, attenta ricognizione di tutti i lavori del d’Enrico sul Monte di Varallo e negli altri luoghi in cui ha operato, possa avere la fortuna di scoprire qualche altro esemplare della stessa sigla. Unico elemento discordante in tanta felice realizzazione della parte plastica della cappella, il misero, squallido tavolino al centro, ai piedi del trono, che ve- ramente stona con tutto il contesto: un arredo d’infima qualità, che fin da bam- bino mi stupiva e mi risultava fuori luogo, inammissibile per una scena tanto grandiosa, in un’aula così solenne. Che un tavolo di ridotte dimensioni dovesse esistere fin dall’inizio nella cappella sembra quasi certo. Nella sua illustrazione, pubblicata nella guida del 1765 e riutilizzata in altre guide posteriori dei pri- mi due decenni dell’Ottocento, lo si vede molto chiaramente, quasi in primo piano, ricoperto per intero da un ampio tappeto che scende fino a terra. E così, con identiche caratteristiche ricompaiono le altre due xilografie, ripetutamente usate nella maggior parte delle guide per molti decenni. È invece con la pubblicazione dell’opera del Cusa (1857-1863), che la cap- Per sfogliare il libro cliccare col mouse sugli angoli delle pagine e trascinare i fogli 411
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