Page 337 - Libro Sacro Monte di Varallo
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La guida del 1908 risale a venticinque, quella del 1909 scende a ventidue; l’A- postolo torna a ventitre. Nella guida del 1919 sono nuovamente ventidue; per la guida di Varallo del 1929 sono nuovamente ventidue; per la guida di Varallo del 1929 sono ventitre; per il Manni nel 1978 ventidue, ecc.. È una quasi ridicola altalena che ci dice con quanta leggerezza si sia troppo spesso scritto riguardo al Sacro Monte, copiando qua e là senza rigore e ripeten- do errori senza nessun controllo. In realtà il numero delle statuette non è mai mutato rispetto a quello originario di venti, dichiarato dal d’Enrico nel 1640. Forse una certa differenza di calcolo, passando da venti a ventidue, può esser stata determinata dall’aggiunta nel totale delle due statuette di putti poste a coronamento del portale che inquadra la figura di Pilato. Nell’impostazione ge- nerale della scena il d’Enrico, a distanza di anni, circa una quindicina, ritorna a quella della cappella che sta accanto, della Prima presentazione a Pilato, che ritengo essere stata ideata, o almeno suggerita a Giovanni dall’estro innovatore del suo fratello Tanzio. Un simile impianto assai raro in tutto il Sacro Monte per l’inquadratura in profondità e non frontale della scena, oltre a sottolineare volutamente la so- miglianza con l’aula della Prima presentazione, quasi a voler ricreare lo stesso ambiente, o almeno rievocarlo (si noti la vistosa presenza del portale a colonne), trattandosi anche qui del Pretorio di Pilato, era anche l’impostazione più adatta per un vano rettangolare, assai più lungo che largo. Le figure tuttavia non hanno più l’irruenza clamorosa e travolgente della Prima presentazione, non urgono più contro la balaustra divisoria. Lo spazio è tutto accessibile, non c’è più sbarra- mento, non c’è più lo scalino a creare due diversi livelli. La grande sala, che funge da atrio del Pretorio, acquista un respiro spaziale molto accentuato, in cui quasi si perde il monumentale portale in marmo verde di Cilimo o in pietra oliare di Alagna, materiali ambedue familiari ai d’Enrico (Enrico d’Enrico, fratello mag- giore di Giovanni, aveva usato il marmo verde di Cilimo o di Varallo, molti anni prima per la Porta di Strada a Vercelli). Il portale, che è contemporaneamente opera plastica ed opera architettonica, testimonianza eloquente della duplice attività di Giovanni d’Enrico, si presenta con due massicce colonne sorreggenti le trabeazioni a loro volta sormontate da due vivaci statuette di putti che fungo- no da acroteri e trattengono animali allusivi alla fedeltà ed alla vigilanza, come scrisse il Cusa. Tra essi, al centro campeggia un fastoso scudo incorniciato da un cartiglio barocco, analogo per secentesca opulenza al trono di Erode nella cap- pella precedente. Le figure si disseminano, si sparpagliano isolate nella vastità dell’ambiente. Quello che in molti altri misteri di Giovanni d’Enrico era stato Per sfogliare il libro cliccare col mouse sugli angoli delle pagine e trascinare i fogli 337