Page 274 - Libro Sacro Monte di Varallo
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to l’andamento ellittico dell’aula; nella parte tergale poi, sfondando l’angolo nord-ovest della cappella alessiana del Figlio della vedova e penetrando per un tratto marginale a viva forza in quella riuscì a sviluppare in tutta la sua ampiezza, con risultato prestigioso, il vano. Esso è completato dall’ariosa volta ovoidale, di ampio respiro, ora percorsa da una crepa impressionante, che sicuramente deve aver tratto spunto dalla fama raggiunta in quegli anni dall’ardita cupola ovoida- le del Gallo, eretta a coronamento del Santuario di Vicoforte presso Mondovì, tra il 1729 ed il 33. Certo risultò in parte sacrificato ed immiserito il tempietto cinquecentesco del Figlio della vedova, soprattutto in facciata e sul lato destro dell’atrio interno per l’aggressiva invadenza del palazzo del Tribunale di Anna, ma quest’ultimo potè così adeguarsi per dignità architettonica e spazialità interna agli altri edifici della Piazza dei Tribunali. Si trattava ora di adeguarsi anche per altezza di ispirazione e capacità di rea- lizzazione con la scena figurata. Mentre dunque tra il 1737 ed il 39-40 circa, si andava abbattendo la prima modesta redazione dell’edificio e si erigeva quello nuovo per opera del Morodi, i Valsesiani «commoranti in Torino» provvedevano anche alla parte scultorea della cappella. Essi diedero infatti l’incarico di eseguire le statue allo scultore lombardo Carlo Antonio Tantardini di Valsassina, che nel 1743 le aveva ormai eseguite, ma non collocate, come risulta dalla guida del Sacro Monte edita in quell’anno. Essa infatti così si esprime: «Vi mancano le statue per rappresenta- re il mistero, che fra poco si erigeranno, restando al presente di già fabricate, e sono opera di Carlo Tandarini Milanese, come pur vi mancano le pitture che si spera verranno formate da buon pennello». Il cognome dello scultore, ovviamente storpiato, è riportato in modo ancor più errato nella successiva guida del 1751 come «Carlo Tandini Milanese», ma è invece riferito con esattezza nel 1777 dal Bartoli come «Carlo Antonio Tantardini» e così ripetuto dalla guida del 1779. Tuttavia l’inesatta dizione «Tandarini» avrà il sopravvento, risultando l’unica riportata da tutte le guide del tardo Settecento e dell’Ottocento. La ritroviamo esatta solo ad iniziare dalla guida del 1880, ma non sempre. Per esempio ritornano alla dizione sbagliata «Tandarini» tanto il Butler quanto il Tonetti e lo stesso Romerio. Verrà retti- ficata definitivamente solo nel 1914 dal Galloni. Carlo Antonio Tantardini dunque, pur essendo «milanese», ossia lombar- do, provenendo dalla Valsassina, era uno degli scultori più attivi ed affermati dell’ambiente torinese, dove la sua presenza è testimoniata fin dal 1703, ope- 274 Cappella - 24
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