Page 210 - Libro Sacro Monte di Varallo
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sendo la cappella aperta ai visitatori, sino all’altezza cui può giungere la mano, fu offeso da innumerevoli graffiature di confusi nomi e date. La data più antica, di non possibile contestazione, risulta da grossolana e profonda impronta, e segna l’anno 1530. Ma il carattere dell’opera persuade che l’atto irreverente e van- dalico dev’essere stato molto posteriore alla sua fattura, per quanto riesca pro- blematico il fissare un tempo intorno al 1500 in cui il Ferrari abbia avuto seco allievi ai quali piuttosto che a lui si sente il doverla attribuire. Che se l’allievo di Gaudenzio, Bernardino Lanino, cui si vorrebbe assegnare un fresco nell’antico Cenacolo, avesse veramente pennelleggiato qui, il saggio di sua perizia si dovreb- be cercare più in alto, vedendosi al di sopra della porta frontale trasparire un dipinto che potrebbe convenire al suo tempo». Fin qui il Galloni. Purtroppo di tutto questo oggi più nulla rimane e forse non ne resta neppure un ricordo fotografico. Ed il rimpianto va anche ai tanti graffiti perduti che ormai assumono un grande valore documentario per cono- scere l’affluenza dei pellegrini nei primi decenni di vita del Sacro Monte. Per quanto poi riguarda l’attribuzione al Lanino di affreschi in questa cap- pella, si tratta di un equivoco. Il Fassola infatti che per primo ne parla nel 1671 si riferisce ormai alla Cena esistente alla sua epoca, cioè a quella trasferita sulla Piazza Maggiore, e non alla cappella originaria sul Monte Sion. L’edificio rimase così fin verso la metà del Cinquecento, come risulta dalle più antiche vedute del Sacro Monte, conservate alla Pinacoteca di Brera, a Care- sanablot e nel Duomo di Torino. Ma proprio attorno al 1550, alla costruzione, fino allora isolata, venne addossata verso levante una nuova aula con lo scopo di collocarvi il mistero della Pentecoste. Infatti la guida del 1566, descrivendo dettagliatamente le cappelle, illustra già quella dello “Spirito Santo”, pur affer- mando che “non è questa ancora tutta perfetta”; ed in realtà non verrà mai com- pletata. Intanto, anche l’interno dell’Ultima cena dovette subire qualche lieve modi- fica. Mentre infatti la scena principale rimaneva inalterata, e la descrizione assai minuta ci elenca tutti gli Apostoli e “molti servi”, non vi è più alcun accenno all’altare ed alla raffigurazione dipinta della Lavanda dei piedi, forse nel frat- tempo eliminata. Tale situazione risulta perfettamente identica anche in tutte le altre guide successive del tardo Cinquecento. Era nel frattempo stato compilato dall’Alessi il “Libro dei Misteri”, verso il 1567-68, cioè immediatamente dopo alla guida del 1566. Nella planimetria generale, che precede l’illustrazione dei singoli progetti, si vede con molta chia- rezza la pianta rettangolare della Cena, contrassegnata dalla didascalia “Quivi è 210 Cappella - 20