Page 194 - Libro Sacro Monte di Varallo
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certamente compiuto quando nel settembre del 93 giunge il vescovo, perché nella sua relazione non compare la tipica espressione «nuper perfecta» (termi- nata da poco) come di consueto per le opere appena compiute. Si osservi poi che proprio solo una settimana prima del contratto col Testa, il 7 maggio 1590, dallo stesso notaio Albertino era stato steso il contratto proprio col Fiamminghino, per affrescare la cappella assai più impegnativa e prestigio- sa della Strage degli innocenti, contratto a cui il pittore, coadiuvato dal fratello Mauro, tenne fede tanto da poter terminare l’opera poco prima della visita ve- scovile del 14 settembre 1593, nella cui relazione la cappella viene proprio detta «nuper perfecta». Se solo una settimana dopo il contratto con il Fiamminghino veniva fatto l’altro con il Testa per l’Ingresso in Gerusalemme, era certo proprio perché il primo pittore non avrebbe potuto materialmente assumersi contemporanea- mente due impegni; né è pensabile che abbia potuto sostituire immediatamen- te il Testa in un’impresa che era stata appena affidata a lui. Bisogna infine tener presente che il varallese Gian Giacomo Testa aveva appena terminato di dipin- gere ad Oropa l’immagine dell’Angelo e della Madonna nella cappella dell’An- nunciazione, come risulta dal libro contabile degli anni 1588-90; era dunque proprio allora rientrato in patria con un certo prestigio per un’opera compiuta in un altro celebre santuario e quindi disponibile per lavorare al Sacro Monte. Tutte le ragioni dunque appaiono pro Testa e contro i Fiamminghini per la paternità dei dipinti nella cappella dell’Ingresso in Gerusalemme. Da tutto ciò appare dunque ovvio che quegli affreschi non possono essere stati eseguiti dai Fiamminghini, come per primo credette il Fassola ottant’anni dopo, ma dal va- rallese Testa, come si deduce dall’atto di allocazione. Un caso analogo era già avvenuto per la cappella della Tentazione i cui affreschi erano stati allogati per contratto a Domenico Alfano il 17 aprile 1599, ma che il solito Fassola per primo credette opera di Melchiorre D’Enrico, a cui sono stati riconosciuti fino a questi ultimi tempi, pur essendo invece proprio dell’Alfano. Non mi pare quindi abbia veduto male il Butler quando ha affermato che «qualcuna delle figure del fondo sembra appartenere al pittore Testa». Deteriorati i dipinti con l’andar del tempo, come gli altri, pure del Testa, nella cappella della Samaritana, anche questi nel 1715 (secondo il Romerio 1718) vennero ripassati largamente dal pittore Pietro Giovanni Nartessi, lo stesso che nel medesimo anno aveva compiuto un’identica impresa nella cap- pella della Samaritana, lasciando anche qui un’iscrizione per ricordare il suo intervento. 194 Cappella - 19
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