Page 192 - Libro Sacro Monte di Varallo
P. 192
destra, originariamente non esistevano, né sono in stucco, né si possono asse- gnare a Giovanni D’Enrico per un’enfasi, un modellato, un ondeggiare baroc- cheggiante di panneggi tutto diverso, per cui mi pare che debbano essere tre le statue aggiunte ex novo dall’Arrigoni. Mentre invece lo spostamento in primo piano dell’asinello originariamente seminascosto dietro a quello cavalcato da Gesù, per animare e popolare maggiormente la scena deve esser già stato attuato dal D’Enrico, come sembrano farci capire alcune xilografie posteriori a quella dei Coriolano, comparendo già l’asinello in primo piano, ma non ancora le sta- tue dell’Arrigoni. Riassumendo dunque per quanto riguarda la parte scultorea, ora complessi- vamente costituita da sedici statue, dobbiamo distinguere ben tre momenti: il primo anteriore di qualche anno al 1583, col gruppo di una decina di statue in stucco, forse del milanese Francesco Borella; il secondo costituito dalle poche statue in terracotta di Giovanni D’Enrico, eseguite tra il 1610 ed il 26; il terzo comprendente le tre figure in terracotta aggiunte dall’Arrigoni nel 1721-23. Tanti interventi così scaglionati nel tempo devono aver alterato non poco l’autenticità di numerose figure, rendendone più difficile la lettura stilistica ori- ginaria. Le condizioni precarie in cui erano giunte alla nostra epoca hanno con- sigliato un’opera di consolidamento da parte della Soprintendenza nel 1970, che non ha portato però ad un restauro completo e definitivo, ma a varie libere integrazioni, spesso prive dell’indispensabile completamento cromatico. Vicende non meno complesse sono quelle riguardanti la decorazione pitto- rica. È il buon Fassola che per primo (1671) fa il nome dei Fiamminghini scri- vendo: «Le pitture date all’intorno dei muro di numerose teste, e turbe Po- polari dal Fiamenghino». Tale affermazione, come di consueto, viene ripetuta dal Torrotti (1686) e da tutti gli altri compilatori di guide del Settecento e del primo Ottocento, che parlano di «pitture preziose del Fiamminghino». Invece il Bordiga nel 1830, confondendo, come aveva già fatto, per gli affreschi delle cappelle di Adamo ed Eva e della Strage degli innocenti, il Fiamminghino, ossia Giovanni Battista della Rovere, con Giovanni Miei di Anversa, pittore attivo alla corte di Torino in pieno Seicento, assegna a lui, che non era mai stato al Sa- cro Monte, questi affreschi. Il Bordiga però aggiunge per primo che «Essendosi smarrite le pitture delle parti laterali, il Borsetti in quella a destra dipinse alcuni Apostoli, e nell’altra dirimpetto Giovanni Avondo di Balmuccia fece varii spet- tatori». Ma riferisce anche per la prima volta che: «Da un istrumento rogato dall’Albedini il 23 maggio 1590 risulta che il pittore Testa doveva dipingere la 192 Cappella - 19
   187   188   189   190   191   192   193   194   195   196   197