Page 551 - Libro Sacro Monte di Varallo
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Signor Cardinale (cioè Federico Borromeo) ci mandò a vedere il Monte di Va- rallo due giorni di là da Milano, verso settentrione, luogo nobile, e degno ch’io ne dia un poco di ragguagli”, tessendo ampi elogi delle opere di Gaudenzio e soffermandosi su quelle del Calvario. Dopo vari decenni bisognerà arrivare al Fassola per trovare due pagine lau- datorie dedicate alla cappella (1671), in cui tra 1’altro lui per primo elenca i vari personaggi che Gaudenzio avrebbe raffigurato negli affreschi, elenco talo- ra ripetuto anche ai nostri giorni. Tre anni dopo (1674) lo Scaramucci dice di esser salito a Varallo (forse avendo avuto tra mano il testo del Fassola), più che per devozione, per veder Gaudenzio, e si stupisce nella cappella del Calvario per “tanto amore e freschezza”. Poco vi si sofferma invece il Torrotti nella sua Historia della Nuova Gerusalemme del 1686, e così pure il Cotta nel Museo Novarese all’inizio del Settecento si limita a citare la cappella nella voce dedica- ta a Gaudenzio. Nè molto vi scrivono i compilatori delle numerose guide per i pellegrini, nè i vari estensori di biografie di artisti e di uomini illustri piemontesi, o di ambito lombardo, che neppure salgono a Varallo. Anche il tanto celebrato abate Lanzi, nella sua ben nota storia pittorica d’Italia, ricca di osservazioni acu- te, che pure ammira Gaudenzio, non viene in Valsesia e di conseguenza ignora tutti i capolavori di Gaudenzio, Tanzio e Morazzone esistenti sul Sacro Mon- te, ed è una vera, grossa lacuna. Bisogna giungere all’inizio dell’Ottocento per constastare una nuova fioritura di studi gaudenziani ad iniziare, più che dal De Gregory (Istoria della Vercellese Letteratura ed Arti), dal Bordiga con la sua vita di Gaudenzio Ferrari, edita a Milano nel 1821, in cui dedica ben quattro pagine ad analizzare le sculture ed i dipinti del Calvario. Con lui ha inizio la vera riscoperta, la vera fortuna critica di Gaudenzio. Lo segue nel 1831 il Fumagalli che sale a Varallo, quasi certamente avendo visto il testo del Bordiga, ed osserva con acume che il maestro non cercò i tipi, i perso- naggi “nelle reminiscenze e negli studi di opere classiche, non gli creò sulle nor- me ideali d’un bello d’invenzione ma gli vide, gli scelse, gli trasse dal solo vero”, anticipando di più di cento anni alcune affermazioni del Testori. Spunti qua e là ancor oggi validi si trovano poi nella monumentale opera dei Bordiga e Pianazzi (1836-47), che si sofferma in una minuta, diligentissima de- scrizione di tutta la cappella, che si sviluppa per molte pagine, descrizione che era necessaria allora quando non era ancor diffusa 1’arte fotografica. Non si può poi dimenticare il Rio (1856), che nota per primo dopo il Fassola, come forse mai “Il gran mistero della croce non era stato così compiutamente e con tanto affetto rappresentato”. Per sfogliare il libro cliccare col mouse sugli angoli delle pagine e trascinare i fogli 551
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