Page 396 - Libro Sacro Monte di Varallo
P. 396
Il Butler invece si limita a riferirlo con un “probabilmente”, ma aggiunge la sua convinzione che un’altra statua vicina sia l’autoritratto del Tabacchetti. Prudentemente, in tanta discordanza di pareri, sia il Tonetti, che il Ravelli non esprimono una propria opinione, e si limitano a riferire quanto aveva scritto il Butler. Nessuna certezza dunque su un probabile autoritratto del d’Enrico. Del re- sto la più antica di queste tradizioni diverse è assai tarda, risalendo a più di cen- totrent’anni dopo i lavori. Troppo facile è lasciarsi trascinare da un incontrolla- to gusto per il sensazionale e per una scoperta indimostrabile, basata su nessun sicuro elemento. Nulla vieta che un autoritratto vi possa essere. Anzi, l’occasione per lo scul- tore di modellare per la prima volta un gran numero di figure può aver favorito in lui il desiderio umano ed istintivo di raffigurare anche se stesso tra la folla. Ma anche se non vi fosse l’autoritratto, non resterebbe sminuita questa potente composizione del d’Enrico, la sua prima grandiosa affermazione, in cui rivela la forza e la sapienza di dominare lo spazio, la folla, l’azione, i sentimenti. Seguiranno negli anni tante altre composizioni animate da pari, grandiosa, corale regia, pulsanti di primigenia, popolaresca energia e di scatenate passioni. Intanto le quaranta statue, modellate e cotte, passano all’ultima fase di lavo- razione, cioè al “trucco”, alla coloritura, eseguita da Melchiorre d’Enrico, pitto- re e fratello minore di Giovanni, oltre che suo collaboratore fedele. Ce lo ha reso noto il Galloni fin dal 1914, pubblicando l’atto notarile del 1 dicembre 1610, con cui i fabbriceri del Sacro Monte concedevano a Melchiorre appunto di ri- siedere in casa Valgrana, quella posta sul dirupo che precipita verso la Madonna delle Grazie, data l’assenza del Morazzone, mentre dipinge le statue “collocatas ed collocandas” dell’Ecce Homo. Una più recente scoperta, dovuta al restauratore Fermo de Dominici, pubbli- cata per la prima volta da Alberto Bossi nel 1986, con un’interpretazione però non del tutto corretta, conferma ed amplia la notizia. Si tratta di un’iscrizione in tedesco, tracciata in nero a tergo della figura del Cristo presentato da Pilato sulla loggia, che è stata tradotta con esattezza da Guido Gentile. Essa suona così: “Melchiorre le ha dipinte e Ulrico Giovanni ha fatto le figure 1611”. Dunque nel 1611 la coloritura delle statue veniva terminata. Tenendo poi con- to che quasi sempre ad Alagna i due nomi Ulrico e Giovanni erano accomunati, risulta evidente che lo statuario, di solito noto solo come Giovanni, doveva chia- marsi Ulrico Giovanni . In fine, sul copricapo dell’uomo che in primo piano, sulla sinistra invita i due 396 Cappella - 33
   391   392   393   394   395   396   397   398   399   400   401