Page 288 - Libro Sacro Monte di Varallo
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drammatica alla scena, anzi un senso di sorpresa improvvisa e di maggior istan- taneità all’azione, il sommo Sacerdote Caifa, contrariamente a quanto fanno i grandi personaggi negli altri misteri, che rimangono seduti in trono in tutta la loro maestà, mentre gli altri sono in piedi, è sceso imprevedibilmente dal suo seggio, avanzandosi fino al centro dell’aula per maggiormente accostarsi al Cri- sto, mentre i membri del Sinedrio rimangono seduti sui loro scranni. Ed è proprio alla figura di Caifa che è stata rivolta la maggior attenzione dei vari illustratori della Nuova Gerusalemme varallese ad iniziare dal Fassola (1671), che cosi si esprime: «A Caifas, che in mezzo degli altri Sacerdoti disceso dal trono in atto di minacciare a Gesù, non manca, che la parola». Tale concetto è stato ripetuto per oltre due secoli fin che, verso la fine dell’Ottocento il celebre scrittore inglese, Samuel Butler, nel suo ben noto volume sul Sacro Monte, Ex voto, incantato dell’arte del Tabacchetti, avanzò l’ipotesi, in vero insostenibile sia dal punto di vista stilistico che cronologico, che la statua di Caifa fosse opera non del d’Enrico, ma del Tabacchetti stesso. Lo confutò ampiamente e facil- mente il Galloni nel 1914. Ma se la figura di Caifa attrae a prima vista l’attenzione per il suo clamoroso gesto oratorio e per la posizione centrale, l’onda travolgente delle passioni si sca- tena coinvolgendo gruppi e singole figure, che vengono a superare per eloquenza espressiva, immediatezza e spontaneità di gesti ed intensa interiorità quella del Sommo Sacerdote. All’impeto urlante di Caifa si contrappone in primo piano, con un contra- sto di altissimo valore sociologico, l’interiorità profonda della figura assorta di Gesù, tutta raccolta entro le ridondanti pieghe ammatassate del suo mantello, tanto da render quasi esitanti e sospesi nei gesti i quattro sgherri che lo circon- dano. Tutt’attorno è un gesticolare espressivo, intenso, appassionato, d’una ecce- zionale vivezza dei membri del Sinedrio, tra i quali sulla destra si nota Anna, figura eloquentissima, che parla animatamente con i suoi sostenitori, tutti in- dagati spietatamente con la consueta, acutissima penetrazione psicologica del d’Enrico, tanto da superare ogni altra scena da lui creata per lo sconvolgente senso illusionistico. Né da trascurare è l’attrazione che esercita dal punto di vi- sta della coreografia la varietà fantasiosa e quasi inesauribile dei costumi, la ri- dondanza e ricchezza delle pieghe e degli ornamenti. La presenza dei collaboratori, forse il fratello Melchiorre, ma soprattutto Giacomo Ferro si può ammettere solo per le più statiche figure di secondo piano. 288 Cappella - 25
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