Page 286 - Libro Sacro Monte di Varallo
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donazione del lacobini e le offerte dei Varallesi non erano risultate sufficienti per dare inizio all’opera. La posa delle fondamenta dovette aver luogo con grande solennità, risultan- do dalla relazione dell’adunanza dei Fabbricieri, sempre del 16 maggio, che si era deciso di «avvisare tutti i popoli della Valle e invitarli alla cerimonia delle prime pietre». E che l’inizio sia avvenuto veramente nel 1614 è confermato dal Libro et inventario del Sacro Monte di Varallo, cominciato d’ordine del M. III. sig. Hieronimo D’Adda nello stesso 1614. In esso si specifica che «...anche detto anno fu fatto la cappella di Caifasso di elemosina raccolta da esso et dal Medico Ravelli nella Valsesia.,.». L’espressione «fu fatto» indica ovviamente solo che la costruzione venne iniziata in quell’anno, poiché con le tecniche costruttive d’allora è impossibile pensare che potesse venir terminata nell’arco di pochi mesi. Del resto, degli atti della visita vescovile compiuta dal cardinal Taverna nel 1617 risulta che la cap- pella si trovò con i muri appena giunti al tetto «usque ad tectum». Si può dunque pensare che sia stata terminata presumibilmente l’anno succes- sivo, ovviamente su disegno del grande regista dell’impresa urbanistica ed ar- chitettonica di tutta quell’area del Sacro Monte, ossia Giovanni d’Enrico, forse con la collaborazione del suo giovane aiuto, Bartolomeo Ravelli. È evidente che l’architetto nella sua ideazione pur mantenendosi nella tra- dizione costruttiva valsesiana, ha tenuto presente il progetto alessiano da cui ha tratto spunto ridimensionandolo e semplificandolo. Si tratta infatti di un edifi- cio civile e non sacro, di un “palazzotto” che vuole appunto anche esternamen- te dare l’idea della casa o del palazzo di Caifa. Esso è caratterizzato da due piani sovrapposti, come nel progetto dell’Alessi, con un leggero, elegantissimo porticato in facciata, a tre ariose arcate, sorrette da sottili colonne ioniche in pietra, poste su alti plinti ancor memori dell’architet- tura gaudenziana (si pensi soltanto alla cappella di Loreto alle porte di Varallo) al piano terreno, e da un corpo di fabbrica di modesta altezza al piano superiore. Ne consegue un armonioso rapporto di voti e di piani tra l’atrio grandioso, inondato di aria e di luce, a precedere e a proteggere l’aula interna, ed il limitato volume del piano sovrastante, reso più lieve dalle tre finte finestre rispondenti alle sottostanti arcate. Ne risulta un’architettura tersa, d’un’armonia e d’una limpidezza rara, a cui si aggiunge un tocco curioso e quasi arguto il gioco nel trompe l’oeil ottocente- sco delle tre finte finestre al primo piano che raffigurano: la prima una persiana a saliscendi semiaperta; la seconda i battenti socchiusi con dietro le tendine ri- 286 Cappella - 25