Page 216 - Libro Sacro Monte di Varallo
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Intanto il 14 settembre 1617 il nuovo vescovo di Novara, cardinale Taverna nella sua prima visita alla Gerusalemme varallese, formula per la cappella della Cena la stessa osservazione già avanzata dal Bascapè per la preesistente Cattura: «Nimis angusta et renovanda in ampliori forma». Nota poi che l’aula è assai popolata di statue e suggerisce che siano posti i candelieri sulla mensa essendo il convito avvenuto in un’ora vespertina. Nella precedente cappella sul Sion vi erano infatti due candele nelle pareti laterali, come si vede nella xilografia delle guide del 1611 e 1613. In più stabilisce che si aggiunga “un agnello pasquale... che si finga cotto arrosto... e del pane azzimo et altre cose convenienti alla cena”. Ed è dopo questo ordine che con molta probabilità si plasmano in terracotta ed in terracruda policroma, facenti corpo unico con il piatto sottostante, il gran pezzo di formaggio, le coppie di vassoi di frutta di un eccezionale verismo, che hanno fatto pensare a Giovanni D’Enrico, il grande statuario del Sacro Monte, che proprio in quell’anno 1617 aveva appena terminato di eseguire le figure del- la Prima presentazione di Gesù a Pilato. Ben poco però, o forse nulla, doveva es- ser stato fatto per riadattare l’ambiente al nuovo mistero, salvo il trasferimento delle statue e della mensa, di modo che la decorazione parietale rimaneva quella precedente, eseguita solo sulla parete sinistra attorno al 1550 per la Cattura, per mano, molto probabilmente di Bernardino Lanino, come ricorda per primo nel 1671 il Fassola. E non vi è nulla di più probabile, perchè il Lanino proprio in quegli anni dipingeva al Sacro Monte anche l’affresco della Pentecoste (ora nella Pinacoteca di Varallo) nell’aula retrostante al primitivo Cenacolo, e la cap- pella di Gesù davanti a Pilato nella prima redazione del Palazzo di Pilato, abbat- tuto nel tardo Ottocento, che sorgeva presso la porticina secondaria di accesso al Sacro Monte. Molto probabilmente si era pensato che l’avvenuto trasferimento dell’Ulti- ma Cena doveva costituire una soluzione provvisoria, perché il vescovo, mons. Pietro Volpi, nella sua visita del 22 agosto 1628, notò che vi era un luogo desti- nato alla Cena (contrassegnato forse, secondo la consuetudine, da una croce), ma che non vi era nulla di fatto “adhuc nihil factum est”, e che nalla cappella contenente la Cena (già della Cattura) non s’era mutato nulla dalla precedente visita, ed insisteva perchè venisse tramutata. Tuttavia non si diede inizio a nessun lavoro, perchè tanto le xilografie, quan- to le incisioni del Seicento e della prima metà del Settecento, anche se non in modo esattissimo, e così pure le varie guide di quei secoli, ad iniziare da quella del Fassola (1671), ci fanno vedere e ci descrivono una situazione inalterata ri- spetto a quella dei primi decenni del Seicento, sempre con l’intenzione di eri- 216 Cappella - 20