Page 655 - Libro Sacro Monte di Varallo
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guita poco dopo e collocata proprio presso il Santo Sepolcro: quella delle Stig- mate di San Francesco. Che fine ha fatto questa tavola “al olio” così lodata e così misteriosa, rapidamente scomparsa nel nulla? Nessuna guida, dopo quella del 1514, ne fa più cenno. Un’opera quindi troppo presto perduta e perché? Forse la sua collocazione in un ambiente così limitato, a contatto diretto dei pellegrini che si accalcavano nell’umile cella, le dovette ben presto provocare seri danni, accentuati dal fumo delle indispensabili candele o torce e dovette venir spostata se non addirittura soppressa. Forse l’esser situata in un angusto vano oscuro consigliò di trasferirla in un altro più luminoso per meglio apprezzarla e conser- varla. Forse ancora venne irrimediabilmente rovinata nell’ottobre del 1518 nel corso del tentativo di sollevazione contro Varallo da parte degli uomini dell’alta valle, che non essendo riusciti a sorprendere i Varallesi, si sfogarono contro il Sacro Monte “in devastando picturas, effigies et imagines...”. Fondamentale resta dunque la guida del 1514 per conoscere in modo assai dettagliato la situazione del Santo Sepolcro nel primo ventennio del Cinquecento. Al contrario le guide del 1566 e 1570 nella parte in versi sono assai sbrigative nel trattare della cella funeraria, limitandosi a riferire in soli quattro versi che il Sepolcro “tien la mi- sura di quel di Terra Santa” e che il “Christo in sepoltura” è affiancato da due angeli. Nella premessa in prosa viene invece riconosciuta a Gaudenzio la statua li- gnea del Cristo giacente. Nulla cambia nelle successive guide del tardo Cinquecento. All’inizio del Seicento il vescovo Bascapè raccomanda di aprire uno sfiato nella cella per far defluire il fumo e di usare fiaccole alimentate unicamente con olio di oliva. Nel 1671 il Fassola si sofferma a riportare la scritta scolpita sull’architrave del basso ingresso e ad evidenziare che non si può vedere il Cristo deposto se non “con lumi accesi”. Afferma quindi che tanto la statua del Cristo che i due angeli sono opera di Gaudenzio “benche di legno, e venerabili per le sue qualità”. Ri- corda in fine che “nel cantone dell’uscio piccolo, per il quale s’entra, S. Carlo Borromeo spendeva più delle sue fiate in orazione”, ossia nell’angolo sinistro dell’angusto ambiente. Notizia poi ripresa in quasi tutte le successive guide del Sacro Monte. Poco dopo il Torrotti ripete le stesse notizie, seguito poi da numerose guide del Settecento e del primo Ottocento. Il Bordiga (1830) specifica per la prima volta che il Cristo “giace difeso da vetri”, ossia è protetto entro un’urna, ma non fa più il nome di Gaudenzio né per la statua né per i due angioletti reggenti la corona di spine ed i chiodi, mentre lo torna a ripetere la guida del 1843. Per sfogliare il libro cliccare col mouse sugli angoli delle pagine e trascinare i fogli 655