Page 656 - Libro Sacro Monte di Varallo
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Nel 1857 il Cusa, più prudentemente si limita a riferire a proposito delle tre sculture, che “il Fassola le disse del Ferrari”, ma aggiunge che “gli angioletti e l’An- gelo della cella vicina scomparvero”. Dunque i due angioletti ancor citati dal Bor- diga nel 1830 e dalla guida del 1843 (quest’ultima probabilmente solo ricopiando la notizia e non controllando de visu), vennero eliminati tra il 1830 ed il 57. La situazione non muta nei decenni successivi e nella prima metà del No- vecento, fino a quando nel 1945-46 si ritenne di non poter procrastinare a ri- solvere soprattutto il problema di accesso ed uscita dei pellegrini dalla cella fu- neraria attraverso l’unico, basso e scomodissimo passaggio, al fine di eliminare inevitabili ingorghi. La soluzione, forse l’unica possibile senza snaturare il sacro e storico ambiente, fedele riproduzione di quello di Gerusalemme, fu di aprire sulla parete di fondo, un varco con porta mascherata dalla stessa decorazione parietale dell’aula, per far defluire i pellegrini in un vano retrostante e da lì farli scendere nell’attiguo oratorio del Santo Sepolcro attraverso la porta situata alla destra dell’altare dell’oratorio stesso. Si creava così un percorso a senso unico. In tale occasione si rinnovava l’antico pavimento originario in pietra, sostituito da lastrine di marmi di due colori, come nell’anticamera. La decorazione delle pareti e della volta, che doveva imitare le rocce di una grotta, come si vede nell’il- lustrazione dell’interno del sepolcro nel volume del Cusa, venne sostituita dai fratelli Bacchetta da motivi decorativi e dalla figura di un Cristo risorto sul lato lungo, rievocante quello magnificato dalla guida del 1514. Nell’occasione venne anche realizzata il nuovo rivestimento marmoreo del loculo, con cornice pure di marmo in sostituzione di quella lignea, quasi certamente ottocentesca. Le tre statue lignee Delle tre antiche statue lignee situate nella cella sepolcrale, già ricordate nella guida del 1514, solo quella del Cristo deposto, è giunta sino a noi. In quattro versi è sintetizzata tutta l’ammirazione per questa immagine scultorea, sia per l’intenso coinvolgimento spirituale ed emotivo che suscita verso le sofferenze ed il sacrificio del Redentore, sia per l’alta, austera qualità estetica: “Col corpo di Jesu alto e divino Morte qua giaze come po mirarse sopra il Sepolcro di rileve e pincto Qua per mirar ognun a pianto vinto”. Le successive guide del 1566 e 1570 nella descrizione in versi, come si è visto, si limitano ed una osservazione essenziale sul Cristo “Sculto e ben fatto”, ma 656 Cappella - 43