Page 390 - Libro Sacro Monte di Varallo
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ma abbia anche prestato la sua collaborazione nella statuaria per figure di secon- do piano. Né si deve escludere che per quest’impresa di notevolissimo impegno, a fianco di Giovanni d’Enrico si dovesse già trovare Giacomo Ferro, ancora sol- tanto in qualità di garzone, prima di passare col tempo al ruolo di allievo e poi di collaboratore e socio. Il maestro dovette dare inizio all’opera forse già verso la metà del 1608, quan- do era ormai in fase conclusiva, o già terminata, la parte muraria della cappella. Fin dal 21 febbraio di quell’anno, col suo solito zelo e la sua particolarissima attenzione per il Sacro Monte, il Vescovo aveva inviato ai fabbriceri una lettera proprio per gli apparati figurativi dell’Ecce Homo, ricordando che l’apertura da cui Pilato avrebbe mostrato Cristo al popolo avrebbe dovuto essere una logget- ta, mentre la disposizione e i moti della folla avrebbero dovuto richiedere uno spazio scenografico aderente alle informazioni che si potevano trarre dalle pur modeste fonti topografiche ed iconografiche di cui allora si poteva disporre ri- guardo ai monumenti ed ai luoghi di Gerusalemme. L’impresa si dovette conchiudere verso l’autunno del 1610, dato che il 1° dicembre di quell’anno Melchiorre d’Enrico stava ormai dipingendo le statue “coliocatas et coilocandas”. Fino al momento di dare inizio alla parte figurativa di questa cappella l’attivi- tà dello statuario era stata ancora assai limitata come plasticatore, essendo stato impegnato notevolmente come architetto e costruttore. Aveva modellato solo le statue di quattro misteri: del Primo sogno di S. Giu- seppe verso il 1605; della Coronazione di spine nei 1607; dell’Agonia nell’orto e dei Discepoli dormienti nel 1608, oltre all’intervento collaborativo col Tabac- chetti nella Salita al Calvario attorno al 1599-1600. Aveva certo dimostrato le sue doti di valentissimo ed istintivo plasticatore, ma erano cappelle di modeste dimensioni, dotate di poche statue (tre la prima, otto la seconda, due la terza e quattro la quarta). Il compito che gli si presentava ora dinanzi era ben più arduo. Doveva affron- tare per la prima volta non un contesto di poche figure, ma una folla intera con tutte le sue passioni e reazioni scatenate e travolgenti. Il dramma delle cappelle fino allora eseguite, più che esplodere, era quasi interiore, silenzioso, spirituale. Solo nella Coronazione di spine vi era violenza e crudeltà, ma incosciente, super- ficiale, di volgare burla. Nell’Ecce Homo tutto cambia: dimensioni, soggetto, stati d’animo. È certo che nell’ideare il “contenitore architettonico” di misure notevolmente superio- ri, secondo il volere del Vescovo, rispetto a quelle originariamente previste, il 390 Cappella - 33