Page 356 - Libro Sacro Monte di Varallo
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tagonista, al pernio di tutta l’azione, in questo caso il Cristo coronato di spine, nella più ovvia ed immediata visione frontale, ravvivata dalla varietà dei gesti, dei movimenti imprevedibili, immediati, della mimica dei vari personaggi, resi con la consueta interiorizzazione psicologica, ora inchinati, ora in ginocchio, ora eretti, ora un po’più avanti, ora un po’ più arretrati. Un movimento chiasso- so, intenso, spontaneo, pervade tutta la composizione ripercuotendosi nell’an- gusta aula con effetto intensamente suggestivo e coivolgente, potenziato dalla vivace cromia dei costumi e delle armature, dovuta in gran parte ad una pesante ridipintura ottocentesca menzionata dal Cusa nel 1857. Certo l’esecuzione materiale non dovette pesare tutta su Giovanni D’Enri- co, ma in parte non piccola dovette ricadere sui suoi più stretti collaboratori, in modo particolare su Giacomo Ferro, allora suo garzone ed aiutante, soprattutto per le figure meno in vista, più rigide ed impalate, come quelle dei tre armigeri in piedi sulla sinistra, uno in primo piano e gli altri due presso l’angolo in fondo. Gratuita è poi l’affermazione, riportata nella recentissima guida dei Sacri Monti piemontesi, sotto gli auspici dell’Assessorato ai Parchi Naturali della Re gione, che nell’uomo inginocchiato in abiti seicenteschi a destra in primopiano sia da individuare il committente della cappella. Nessun documento del Seicento parla di un committente particolare, nes- suna guida da me consultata, e sono più di sessanta, vi ha mai fatto cenno. Del resto il personaggio è solo uno dei tanti sgherri che beffeggiano Gesù, e sarebbe stato di pessimo gusto da parte di Giovanni D’Enrico ritrarre l’eventuale devo- to donatore sotto simili sembianze. I dipinti e i loro autori Se d’una certa complessità, come si è visto, è ciò che riguarda la parte scul- torea, ben più intricato è il problema del cielo pittorico. In nessuna cappella la situazione risulta più ingarbugliata. A circa sessantanni dall’esecuzione degli affreschi il Fassola per primo li assegna in parte al ‘’Gerani’’ ed in parte al Farfa- nico così dicendo: “La storia sopra li muri, parte è del Gerani, e parte del Farfa- nico». Tale dato viene ripetuto ininterrottamente fino alla guida del 1829, con la sola correzione dal Bartoli (1777) in avanti di Giovanni Ballista Crespi detto il Cerano al posto di Cerani. Il “Cerani” del Fasola ed il “Cerano” del Bartoli veniva dunque identificato con il notissimo pittore originario di Cerano Novarese, da cui prese il sopran- nome, uno dei massimi esponenti della grande scuola pittorica lombarda dei 356 Cappella - 31