Page 228 - Libro Sacro Monte di Varallo
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pressione di riprodurre con particolare fedeltà, non solo negli atteggiamenti, ma anche nei panneggi (in particolare quella di Gesù) le due nuove statue in ter- racotta. Mi pare quindi se ne debba dedurre che la loro modellazione si debba collocare attorno al 1607. Il Galloni aveva anzi parlato dello stesso 1606. Una conferma riguardo alla loro esecuzione nei primi lustri del secolo ci vie- ne poi anche dalla visita pastorale del cardinal Taverna, successore del Bascapè, effettuata nel 1617. Egli lamenta infatti che «la cappella nella quale si rappre- senta l’Orazione nell’Orto, havendo più similitudine di spelonca che di horto, perciò si rifaccia più grande o sia volta di detta cappella fatta a modo d’aria, fingendo una notte e la cappella rappresenti un horto». Si conferma dunque che la scena vi è già raffigurata; del resto, se così non fos- se stato, il cardinale si sarebbe raccomandato di dare sollecitamente inizio all’e- secuzione delle statue; cosa che invece non viene detta. Dunque le due figure già esistevano, e, come dirà per primo il Fassola poco più di un cinquantennio dopo, e ripeteranno poi tutti i compilatori delle guide successive, erano state plasmate da Giovanni D’Enrico, il grande regista del sacro Monte nei primi quarant’anni del Seicento, lo scultore per eccellenza della Nuova Gerusalemme. La sua attività come statuario era iniziata ufficialmente solo poco prima: nel 1605, e nel 1608 erano già compiute, oltre alle sculture dell’Orazione nell’orto, anche quelle dei Discepoli dormienti e della Coronazione di spine, mentre erano in esecuzione le quaranta statue dell’Ecce homo. Secondo il Galloni nel Cristo orante il voto non sarebbe fatto «di conserto con la testa, sibbene applicato» come fosse una maschera levata da altra scultu- ra precedente, per cui avanza l’ipotesi che possa esser stato tratto dal primitivo Gesù nell’orto. Ma come si è visto la supposizione risulta insostenibile perché l’originaria fi- gura del Cristo doveva essere di legno. Per di più ad un attento esame non risulta che il volto sia stato applicato, ma tutta la testa appare modellata unitariamente. Lo sguardo intenso e la tensione profonda rivelano la sensibilità inconfondibile di Giovanni D’Enrico, la sua eccezionale forza di interiorizzazione, di penetrare nell’intimo dell’animo umano. Né meno significativo sono l’immediatezza di tutta la figura protesa innanzi in un’unitaria partecipazione dolorosa, la posa così viva e sentita delle mani giunte, il drappeggio sciolto e spontaneo del man- tello, trattenuto con rara naturalezza sul petto, pur richiamandosi all’identico gesto del gaudenziano S. Giuseppe della grotta di Betlemme. Così pure carico di slancio e di energia è l’apparire impetuoso e fremente dell’angelo dai ricchi panneggi, dallo svolazzare increspato e briosissimo del bre- 228 Cappella - 21