Page 229 - Libro Sacro Monte di Varallo
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ve mantello rosso, quasi una vampata di fuoco investita dal vento. Tipico poi del D’Enrico il movimentato, improvviso arrovesciarsi del lembo inferiore della ve- ste che si arricciola in un’ardita voluta scoprendo il piede sinistro, motivo altre volte poi felicemente ripreso, come nella figura centrale, colta di schiena, nella cappella di Gesù condannato a morte. E la parte pittorica? Dagli ordini impartiti dal cardinal Taverna nel 1617 si ha l’impressione che gli affreschi non fossero ancora stati eseguiti e che forse ri- manessero ancora alcuni malandati frammenti del precedente ciclo riguardante il mistero del Pater, che davano all’ambiente «più similitudine di spelonca che di horto». È quindi pensabile che si sia provveduto con una certa sollecitudi- ne ad eseguire i dipinti, compresa la volta «fatta a modo di aria, fingendo una notte» e con le pareti raffiguranti un orto, così come voleva il cardinale. Tutto ciò non richiedeva un grande impegno. Allora venne anche dipinta sulla parete sinistra l’immagine di S. Carlo genuflesso in preghiera, a ricordo della sua devo- zione per il mistero di Cristo orante nell’orto. Infatti dalle parole del cardinal Taverna non pare proprio che essa già vi si trovasse affrescata. Né è pensabile che in soli dieci o undici anni di vita della nuova cappella vi fosse stato raffigurato solo S. Carlo, lasciando in abbandono tutte le altre superfici parietali. Non si pensò invece a rifare più grande la cappella, come il cardinale aveva pure richiesto. Infatti molti decenni dopo il Fassola definirà ancora questo tem- pietto come “un picciolo tugurio”. Egli però non ci ha tramandato il nome del pittore. Sarà solo il Bartoli nel 1777 a parlare di Melchiorre D’Enrico, seguito poi da vari altri compilatori di guide dell’ottocento e del primo Novecento. Ma tale affermazione non convincerà il Galloni, che partendo dall’errato presup- posto che la figura di S. Carlo doveva esser stata dipinta poco dopo la morte del Santo (ma allora la cappella non rappresentava ancora l’Agonia nell’orto e quindi l’immagine di S. Carlo vi sarebbe stata del tutto fuori luogo), ossia in un’epoca in cui Melchiorre non era ancora attivo sul monte, tende ad escludere la sua paternità per questi affreschi. Esistono invece varie altre ragioni in favore di Melchiorre. Già fin dal 1608 aveva dipinto la cappella dei Tre discepoli dormienti, proprio contigua a quella dell’Agonia nell’orto, per cui pare quanto mai logico che sempre a lui fosse asse- gnata l’esecuzione degli affreschi di quest’ultima, quasi a creare una continuità stilistica. Trattandosi poi di un ciclo non certo dei più grandiosi, che non richie- deva neppure la presenza di figure, salvo quella di S. Carlo, non era certo il caso di impegnare artisti di più grande fama, come il Morazzone o lo stesso Tanzio. Nel 1619 poi, cioè immediatamente prima, o subito dopo agli affreschi dell’A- Per sfogliare il libro cliccare col mouse sugli angoli delle pagine e trascinare i fogli 229
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