Page 160 - Libro Sacro Monte di Varallo
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gno, ma Badarello, come dimostrò verso la fine del secolo scorso Carlo Alberto Gianoli. È evidente che lo scultore, dotato di non eccezionale fantasia creativa, si è basato per l’impostazione generale della scena sullo schizzo proposto nel «Libro dei Misteri», riducendo solo di una il numero delle figure e disponen- done tre, invece di una sola, genuflesse in primo piano. Nel complesso la distribuzione risulta efficace e ben equilibrata nello spazio, con un valido raggruppamento di folla. Le sculture, pur nella loro provinciale ricerca realistica di un accademismo un po’ freddo, non sono prive di interesse particolarmente per quegli anni di attività artistica sul Sacro Monte. Né man- cano alcuni particolari di notevole efficacia come la testa forte ed espressiva del secondo portatore della bara sul lato verso i riguardanti. L’impressione tuttavia è oggi piuttosto scadente per il notevole degrado do- vuto alle troppo frequenti cadute di colore, per cui meriterebbero di essere sot- toposte ad un accurato restauro pittorico. Anche per gli affreschi le antiche guide non danno nessuna indicazione dell’autore e solo il Bordiga afferma per primo che «Quelle pitture si soglio- no attribuire a Gian-Giacomo Testa di Varano, eseguite verso il 1580». E così dopo di lui quasi tutti (non il Butler però) hanno assegnato al Testa i dipinti che rivestono tutte le pareti, la volta ed anche in parte lo spazio riservato ai fedeli. Per quanto le loro condizioni siano piuttosto cattive, si scorge però che si tratta di un’opera tutt’altro che scadente, anche se forse in alcuni tratti abbon- dantemente ripresa già in passato (forse nei primi decenni dell’Ottocento), ese- guita con garbo e scioltezza sia nell’ariosa resa del paesaggio di sfondo, ravvivato da particolari attraenti di colli, di alberi, di castelli in lontananza, sia nella ani- mata ed assiepata folla degli astanti che esce dalle imponenti mura della città di Naim sulla destra, espandendosi lungo tutta la parete di fondo con vivacità e naturalezza di gesti e di atteggiamenti per legarsi al gruppo degli Apostoli che sopraggiunge da sinistra formando un unico coro che ben completa l’azione retta dalle statue. Per questo, per la correttezza sapiente dell’esecuzione, per la efficacia narrativa e scenica, mi si avanza qualche dubbio per sostenere la pater- nità del Testa che dalle sue opere sicure, firmate e datate, risulta più acerbo ed arcaico, piuttosto elementare e sempre dominato da una certa ingenua rozzezza montanara, ben evidente anche negli affreschi della Samaritana. E mi si affaccia così alla mente un timido sospetto che possa trattarsi di una opera del più raf- finato e colto Domenico Alfano di Perugia, a cui, come abbiamo a suo tempo già visto, spettano gli affreschi della Tentazione, eseguiti però in un periodo più tardo (1599-1600), che mi paiono presentare molte analogie con questi. 160 Cappella - 16