Page 98 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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perder Dio per una scodella di lenticchie; ah, miseria! <che> per pascere il ventre, gli occhij digiunino della lor Esca divina!”.
Un “duro letto” il rettore di S. Cristina lo aveva di sicuro: l’amico Girolamo Torelli, avvocato e castellano episcopale della Riviera Orta, che conosceva bene il giovane sacerdote galliatese e aveva visto dove era solito riposarsi, così descrive il suo giaciglio: “rigoroso et austero contra se stesso” macerato tra digiuni e penitenze, spesso “...dormiva sopra le nude tavole” quando non direttamente sull’umida terra312.
Qualcuno potrebbe rilevare che si tratta pur sempre di una spiritualità eminentemente tardocontroriformistica se non già barocca e certo, si ribadisce qui, non avrebbe torto, specie per quanto concerne lo ‘spirituale combattimento’ – per dirla proprio con parole del Quagliotti – contro alcuni smodati eccessi di mortificazione personale che, invece di elevare l’anima a Dio, finiscono per avere l’effetto opposto a causa di quell’amor proprio, quella superbia, quell’intimo, deleterio compiacimento per i proprii patimenti. Ad un tempo, tuttavia, non mancano nelle parole del rettore di S. Cristina taluni evidenti richiami, quelli sì senza tempo e sorprendentemente attualissimi, a quei colpevoli sprechi di tempo in vanità, in “dilicatezze” inutili e superflue ricercatezze: un cenno evidente insomma, vigoroso e con inquietante anticipo, al nostro mondo fatto troppo spesso di vuota apparenza.
Col caldo, forse proprio durante il sonno, nell’estate del 1613 e, come vedremo, anche più in là nel tempo313, Francesco si accorse che c’erano anche altri fastidi, talvolta... pungenti quali “mosche, zenzale et altri piccioli animaletti” che certo non mancavano di essere molesti anche allora, specie poi se immersi nel verde e se in riva al lago. Come sopportarli pazientemente e cristianamente traendone, nel medesimo tempo, sicuro ed efficace vantaggio durante un periodo di santi esercizi?
Quagliotti lo fa pacatamente comprendere: “Un sentimento mi si è suggerito inanzi al Santissimo in questo ritiramento: che Iddio, con altissima providenza habbi creati questi animaletti che riescono all’huomo di tedio, come mosche, zenzale, pulci ect.; poiché se scannano gl’elefanti, le pantere, i dragoni dalle lor tane, queste fiere non ci puotrebbero dar da patire senza offesa grave del corpo, anzi, per lo più senza la morte et così sarebbe finita, né si otterrebbe se non un intento di castigare, che è opera della giustitia; là dove, lasciando fare a questi animaletti, ci danno occasione di patire et di far molti atti buoni di patienza et humiltà, e dall’altra parte non impediscono l’operare né ci distrugono, e mi par che queste sijno come stafilate di buon padre e non carnificine di giudice implacabile. Ne ringratio Dio et ho un gran gusto di questa soave providenza che, siccome manchiamo molto et moltissimo nelle
312 AONo, cart. 4, Torelli, Memoriale (carte non numerate).
313 Il rigore di Quagliotti verso se stesso - sovente esagerato, come si è già potuto constatare, tra l’uso delle ‘discipline’, di cilici con punte acuminate, le veglie (di cui riferiscono rabbrividendo – vds. oltre - il Torelli, il Vandoni e il Poletti nelle loro memorie), i digiuni – si esplicò anche, lo si vedrà, nella severità e semplicità dell’abito portato. Una severità che purtroppo, proprio per un malinteso eccesso di mortificazione, non prevedeva né una costante igiene personale, né regolari cambi di biancheria e, più in generale, dell’abbigliamento: certi cambi non dovettero mancare ma furono senz’altro occasionali se ben presto giunsero dei fastidiosi “animaletti” a tormentarlo: che tale intima questione fosse di dominio pubblico ce lo conferma don Francesco Poletti: Francesco infatti “...di continuo era morsicato di infiniti pedochij i quali, come credo, procedevano dal dormir vestito” su una semplice tavola di legno o per terra: AONo, cart. 4.