Page 97 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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per amore della sua croce io possi trattar più duramente il mio corpo, o quante gratie gli renderei”.
E il riposo del corpo? Durante i ss. esercizi Francesco, assorto nella minuziosa investigazione delle proprie sensazioni fisiche e mentali da porre in rapporto con il proprio slancio spirituale che egli stesso vedeva, si badi, in costante, consapevole conflitto con la sua “...superbia spirituale, che è finissima”311, descrive e lucidamente analizza cosa fosse il suo sonno.
Sonno: “...quanto mi rincresce debba esser sì longo! In quell’hore potrei far oratione, potrei studiare per l’obligo del mio ufficio e per giovamento dell’anima, e me ne sto come un giumento, anzi, come una pianta, come un sasso senza far nulla. che vita miserabile, che esilio è mai questo ove son condannato a far una vita co’ bruti tanta parte del giorno. Almeno il restante che mi avanza lo voglio spender tutto per Dio avidamente, e quello stesso dato a queste occupationi impretiosirlo con rassegnarmi a far la sua volontà. O, questa poca sanità è una gran coperta per l’amor proprio! Quante ne mantella. E pur, havendo provato di levar qualch’ora al sonno non mi riesce. Anche di questo mi invanirei e forsi lo spenderei troppo male, poiché se quelle che mi avanzano sono impiegate con tanti diffetti e piene di peccati, che ogni hora, in ogni azione cometto, se il Signore mi dasse due o tre hore di più havrei due o tre hore di più da offenderLo ove, dormendo, almen cesso di darLi disgusto. Però vi ringratio, Signore, di tutto questo per cui tanto mi confondo che non ardisco alzar gli occhij, e se vi piacerà di decimarmi molto del sonno e del cibo perché lo dij tutto a Voi, sarà un’eccessiva misericordia ad un peccatore indegnissimo, e se volete tenermi sempre così humiliato siate in eterno benedetto”.
Una curiosa e indicativa sintesi di proponimenti che dipesero, in massima parte, dall’arduo connubio – che a quattro secoli di distanza è anche a noi purtroppo non ignoto – tra desiderio di Dio, di ascesi, di silenzio e le fastidiose ansie, insidie e scoramenti della vita quotidiana, magari proprio a partire dalle noie per il “il caldo,...il cibo, il sonno,”.
Un’amarezza, quella per le umane ma necessarie debolezze del cibo e del sonno, che Quagliotti nei suoi scritti non nasconde e che traspare ancora, qua e là, in quei pochi giorni di ritiro: “...o quanto scottano le bevande d’inferno; o che duro letto è la croce; o che horrende graticole la giù m’aspetta; o paradiso, come farò ad acquistarti con tanta dilicatezza; o peccatore, t’accarezzi troppo; ...ah, iniquità:
311 Sull’argomento, storicizzato nell’analisi psicologica e spirituale di una monaca del Seicento romano, si veda il bel libro di S. Andretta, La ‘venerabile superbia’. Ortodossia e trasgressione nella vita di suor Francesca Farnese (1593- 1651), Torino 1994. è ragionevole supporre, tra l’altro, che in questo caso Quagliotti per “finissima” intenda qualcosa di apparentemente poco avvertibile ma sensibile e sfuggente. Alcuni esempi di ‘spirituale superbia’ sono altresì simpaticamente ravvisati dal Servo di Dio don Silvio Gallotti, sacerdote diocesano novarese di cui si parlerà a suo tempo, in alcuni comportamenti di Francesco Fasola, novello prete e viceparroco a Galliate nei primi anni Venti del Novecento, poi Oblato dei ss. Gaudenzio e Carlo dal 1928 e infine arcivescovo di Messina; una figura, anche quest’ultima, su cui si dovrà tornare: “...Ricordiamoci che gli eroismi dei santi per ora non solo non ci sono comandati, ma nemmeno permessi; che lo zelo vuole essere proporzionato anche alle forze [...] Se ti strapazzi senza motivo giusto e proporzionato correrai il rischio di far piangere presto gli Angeli di dolore, ma farai anche ridere il diavolo di gioia. Prudenza dunque, figliuolo caro. E non tentiamo il Signore...” cfr. AGC, lettera del 17 dicembre 1922.