Page 95 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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grande amico del nostro: “Era temperatissimo nel mangiare et bere et non usava cibbi delicati ancorché glene fossero posti avanti, ma si contentava più tosto di cibbi grossi et il suo ordinario era di sodisfare al bisogno della natura con il pane, ancora nel tempo che non digiunava; et del restante poco si curava et molte volte tornava a dir messa; essendoli presentato qualche buon cibbo, subbito lo mandava a qualche povero et mostrava tal’hora di mangiare in piedi come più volte fece in Borgomanero. Il vino ancora del quale si serviva per mantenimento della natura fiaccha era bianco, per l’ordinario, et temperato con molta acqua in modo, et più tosto, si poteva dire l’acqua tinta con il vino, et pure anco nella quantità era temperato perché ordinariamente non beveva più di tre volte. Digiunava anco, spesse volte, con pane et acqua solamente. Oltre tal digiuno, che ordinariamente faceva tutti li venerdì..., mostrava di non sentir gusto alcuno nel mangiare et bere et molte volte stando a tavola con altri copriva l’astinenza fingendo di fare la vita comune, se bene realmente s’asteneva da’ cibbi postili avanti overo non ne mangiava se non toccandone qualche particella per occultare la virtù. Fuggiva il mangiare fuori del alloggio ancorché l’hora fosse tarda onde non potesse tornare a Casa a tempo debito, né acconsentiva di mangiare con altri se non vedeva che fosse ratto per far qualche bene al prossimo”307.
Giacomo Filippo Zanoja308, già chierico studente a S. Cristina e amico del nostro, nella sua deposizione resa anni dopo la morte del rettore racconta un singolo, mirato episodio che conferma la rigorosa dieta del Galliatese: Francesco mi “ordinò...” afferma l’ex allievo divenuto cappuccino di acquistare “...una mezza lira di spinazzi e li fece condire senza sale, senz’olio o altra cosa” precisando poi che nonostante le “fattiche” era solito “non prendere altro che un puoco di herbe o altre materie cibarie di niun sostentamento”309.
Concorde poi, riguardo alla semplicità del cibo e alla moderazione nel bere, è la sintetica testimonianza di un altro amico del nostro, quella di don Gaspare Vandoni, curato di Veruno, tra i primi e più attenti biografi del rettore di S. Cristina, che tuttavia non esclude un più che sobrio apprezzamento del cibo: “...Era di buon
307 AONo, cart. 4, Torelli, Memorie. L’importante documento, conservatoci in originale, venne vergato da Girolamo Torelli certamente dopo il maggio del 1618. Dei “...digiuni”e delle “astinenze”di Francesco, che tra l’altro “...s’asteneva del vino dicendo che ne faceva pocha stimma se non fosse statto per il sacrifitio della santa messa” parla anche don Francesco Poletti nella sua testimonianza giurata del 15 ottobre 1620 resa autografa appunto da “...prette Fran.co Poletti curato di Campertogno di Valsesia et vicario foraneo”. Giovanni Battista Rasario precisava anch’egli che: “...Il suo bevere era aqua, non pigliando più d’un bichiero di vino in tutto il pasto, compartito in tre o quatro volte” e in molti casi si trattava non di vino puro ma di “aqua col vino”: AONo, cart. 4.
308 Di lui parla don Giovanni Alberganti, prevosto di Omegna, in una sua lettera al nostro: “...Quanto al Zanoia et Christofero Crotto, già fatto suddiacono, haverò a charo ch’habbino luogho sotto il suo governo, per che ambi doi sono stati alquanto tempo in casa mia et gl’amo cordialissimamente”, però, soggiungeva don Giovanni “...il Zanoia è un pocho ligieretto di cervello et dubito che pochi giorni fa habbi datto un pocho di disgusto al sig.r Vicario Generale in Novara, et non so come scrivere al sig.r Dolce come V.S. Molto Reverenda comanda, sin che non sappia come passa il negotio”. Invece il giovane chierico Crotto, cioè “...Quello di Quarna, lo conosco assai timorato d’Iddio et devotino: spero li farà honore ne ha altro impedimento se non la povertà”. Cfr. AONo, cart. 2, 15 luglio 1615.
309 AONo, cart. 4, Deposizione del chierico Zanoja che si fece Cappuccino a Borgomanero (1617). Tale narrazione non è precisamente datata e le ipotesi riguardo alla sua cronologia si riferiscono a epoche distanti alcuni anni dalla morte di Quagliotti. Taluni pensano sia riferibile al 1636, anno della prima esumazione-ricognizione della salma del teologo diS. Cristina; altri che possa datarsi al 1648 e subito dopo, cioè al periodo immediatamente successivo alla morte del successore di Quagliotti al rettorato del Collegio, il sacrdote G.B. Rasario. Non pare invece che possa essere del 1617 o poco dopo in quanto si precisa che lo Zanoja “si fece cappuccino” mentre nel 1617 circa era ancora semplice chierico.