Page 96 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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pasto e mangiava bene pane, minestra e fruta, et il vino bene adacquato et il più delle volte come acqua pura”310.
Senza dubbio scaturirono dal suo rigore ascetico, dalla situazione di evidente povertà e dalle reiterate privazioni le osservazioni spirituali del Quagliotti sul cibo: “Primo: ho osservato, circa il cibo, che non essendo forsi espediente privarmi sempre d’alcuna sorta di cibi eleggendo gli infimi come, in quanto a me, farei sempre se potessi mangiar solo, quando ho da pigliarne un poco per non soggettar il compagno, oltre al motivo di ciò fare per charità et accomodabilità mi si è offerto in questo ritiramento di pigliarlo anche a fine d’esser tenuto in conto d’huomo poco mortificato, che si piglia i suoi ristori e non si tratta duramente, con rigore indispensabile; e in ciò io vi confesso un poco di senso perché mi par mala edificatione in chi insegna agl’altri la mortificatione, che non la prattichi più esattamente, et io havrei più gusto a privarmi di tali cose che in pigliarle; onde, già che ho da far contro la mia volontà e pregiudicare alla mortificatione, farò che ciò che piglio a questa virtù si accresca all’humiltà. Tanto più che seben il mio desiderio sia di gustar cibi poveri e grossi, pure, il mio temperamento o la mia troppa dilicatezza non gli permette, e in questo per l’avenire voglio ringratiar Dio che mi tenga basso et mortificato perché vi potrebbe esser superbia spirituale nella vita più rigorosa. È vero che mi sento passar il cuore da un certo dispiacere in non poter cibarmi assai più scarsamente e più grossamente, come sarebbe, alla sera, un poco d’erba senza minestra, et alla domenica e giovedì aggionger la sola minestra pigliando alla mattina una sol cosa bolita semplicemente, perché così l’animo resta più libero essendo facile che s’attacchi a qualche cosa nell’atto del mangiare, e seben prima s’alzi la mente a Dio, poi doppo si lascia cascare nel cibo. O gran miseria dover lasciar Dio per il cibo. È vero che non si lascia Dio quando si fa la sua volontà, ma altra cosa è star con costoro, cioè il cibo, il sonno ect. per Dio, altro è stare con Dio senza l’impaccio di costoro. Però mi si è sugerito di trovar qualch’erba amara per levar il sapore alle vivande, già che con l’aqua non mi par di seguitare per la debolezza dello stomaco. Lo stesso circa il bere fresco alla estate. O quanto mi confonde ricordandomi di Giesù e de’ miei peccati e pur mi dicono di pigliarlo per sanità, per obedienza. Anche di questa miseria gusto per conoscermi tanto povero, tanto fiacco, tanto sensuale e dilicato di haver bisogno di queste effeminatezze, perché se havessi spirito forte si potrebbe scusar senza. Mi confondo al rispetto di tanti santi che scusarono senza questa golosità [...] non dovrei sentire nemeno il sapore e refigrerio dell’aqua se vi ha da essere diferenza tra gl’innocenti et i peccatori. Ma già che pur ho da far così ne ringratio il Signore che con queste carezze del corpo flagelli la mia superbia spirituale, che è finissima perché facilmente mi invanirei se potessi adoperare l’austerità; e godo che mi tengano per hipocrita, che predica agli altri la penitenza e lui sodisfa al suo ventre: taccia, che è sordidissima et infame anche prescindendo dallo spirito, perché l’appetito della gola è più brutale et indegno onde cagione di rossore negli animi honorati et modesti. Se però piacerà al Signore, dopo haver anichilata la mia superbia, di concedermi che
310 AONo, cart. 1, Vandoni, Annotazioni sopra la vita... cit., c. 12.
































































































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