Page 91 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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nella mia persona, presso gl’ignoranti, restano canonizati per il troppo che mi credono, onde essi penseranno d’immitarmi e faranno male; v[ero]. Q[uindi]. <che> se in una croce o genuflessione o inchino o altra cerimonia della messa io mi trascuro e la faccio male, essi, che non studiano le rubriche, pensan che vada fatta così, et ecco col tempo rovinata tanta moltitudine che commette lo stesso diffetto per colpa mia. Quello che dico della messa lo dico nel parlare, nel gestire, nel predicare, nel mangiare, nel dormire, nel vestire, nel studiare ect., nelle quali cose dovrei, come in tutto, esser d’edificatione, e pur io vedo che commetto tanti diffetti non ostante che mi conosca sì poco, et <con> l’amor porprio si possi cuoprire molte malvaggità. Oh, che rovina irreparabile! Quei che ho stimati cattivi si fugono e fanno sol danno a sé e non al resto della Chiesa ma io, che son sì tristo, anzi, il pessimo di tutti e pur sono stimato buono, faccio danno infinito e non m’accorgo. O Signore mio adoratissimo, o ss.ma Trinità, fate che mi perda nell’abbisso di mie miserie per perdermi nell’abbisso delle vostre grandezze.”
Vale la pena di soffermarsi su taluni aspetti delle riflessioni di Quagliotti e di sottolineare l’importanza di quelle che possono a prima vista apparire quali semplici, accorate espressioni, sia pure elevate, di un distinto sacerdote e oscuro teologo del primo Seicento. Non si tratta infatti solo di leggere i tratti, peraltro già tipici della pietà barocca, della mortificazione personale di chi si considerava “...il maggior peccatore più putrido della terra”, del suo conseguente desiderio di umiliarsi valutando le proprie miserie e debolezze a fronte della misericordiosa maestà divina; pare invece necessario intravedere qui alcuni caratteri – anch’essi proprii, peraltro, della spiritualità della tarda controriforma così come del primo e pieno Seicento – che sono tuttavia sostanziali in un contesto di ben più ampio respiro.
Si tratta di elementi fondamentali e costanti di una spiritualità, quella d’oltralpe e del Grand Siècle, ampiamente riconosciuta e studiata303 specie a cominciare dalle sue più celebri e rappresentative figure. E’ il caso di due dei più noti padri del misticismo francese seicentesco: Benôit de Canfield304 o Pierre de Bérulle305.
303 Sull’argomento, assai vasto e dibattuto, sono ancora importanti le pagine di L. Cognet, Origines de la spiritualité française au XVIIe siècle, Paris 1949; ma si vedano comunque le più aggiornate considerazioni di M. Marcocchi, La spiritualità francese tra giansenismo e quietismo nella Francia del Seicento, Roma 1983.
304 Padre Benedict o, come si usava chiamarlo allora, Benet of Canfield (1562-1611) – che nei suoi anni francesi venne ribattezzato quale Benôit de... - era di vent’anni più anziano di Quagliotti ma a lui tutto sommato contemporaneo. Inglese e originario dell’Essex aveva vissuto con progressivo disagio il duro periodo della dissidenza cattolica durante il regno della comunque grande Elisabetta I; profondo conoscitore della dottrina riformata e della Chiesa anglicana, emigrato si formò al Collegio cattolico inglese di Douai, in Francia, ed entrò venticinquenne tra i Cappuccini nel 1587. Mistico e autore di una Regola di perfettione (Rule of perfection) nel 1592 (ed edita in Italia per la prima volta a Venezia nel 1616) di altissima spiritualità: cfr. O. de Veghel, Benôit de Canfield, sa vie, sa doctrine et son influence, Rome 1949.
305 Pierre de Bérulle (1575-1629), anch’egli vissuto negli stessi anni di Francesco era sacerdote e teologo, ammiratore di s. Filippo Neri e della spiritualità oratoriana fondò a Parigi l’Oratorio di Gesù e Maria Immacolata di evidente impronta vallicelliana, fu amico di s. Vincent de Paule, di s. François de Sales, di s. Jean Eudes. Si interessò a vario titolo della conversione dei calvinisti francesi, meglio noti come Ugonotti e, dopo varie, delicate missioni e controversi incarichi diplomatici sia in una Francia attraversata da fortissime tensioni anche in seno alla turbolenta corte di Maria de Medici, di Luigi XIII e soprattutto del grande cardinale Armand Jean du Plessis de Richelieu, sia all’estero venne creato cardinale da papa Urbano VIII nel 1627. Fu autore fecondo di trattati di mistica mariana, di teologia e sul ruolo del Verbo incarnato: cfr., nella vasta bibliografia, almeno J. Dagens, Bérulle et les origines de la restauration catholique (1575-1611), Bruges 1952, e, sia pure in un’ottica e con un’angolatura geografica diversa ma per noi molto interessante,