Page 89 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Signore, sanandomi le piaghe mie putride con le vostre gloriose, la mia marcia, col vostro sangue”.
Tuttavia, la meditazione del Quagliotti sulle autoriforme e le autoesortazioni – esempi che era ben cosciente, tra l’altro, di dover prima dare per poter chiedere poi un più rigoroso comportamento ai suoi chierici studenti – inerenti in special modo alla forza d’animo, di cuore e di testa per mutare vita e aumentare l’impegno non finiscono qui, anzi. Come qua e là si è potuto constatare infatti, i possibili, auspicabili cambiamenti non sono solo puramente spirituali ma anche pratici, concreti: affermava infatti Francesco che è utile e proficuo l’elegger sempre il peggio et più difficile, così come sono opportuni desiderij di strapazzi, di patimenti, di unione con Giesù, al fine di veder Giesù più spesso non mancando, ad un tempo, e con un occhio attento alla vita della sempre più vivace e numerosa Comunità di S. Cristina, ad avere sicuramente più gravità con gl’inferiori, non però eccessiva ma piacevole; meno parole ne’ discorsi... Insomma, lo spirituale calato con attenzione ed equilibrio in un tempo secolarescho attraversato da tensioni, travagli e, Francesco lo sapeva bene, disgusti.
Ecco allora un più mirato tentativo per conoscere la grazia del Signore: “...Circa i moti naturali ho conosciuto con gratia del Signore che debbo moderar questi per far le attioni di più gusto a Dio e che non rendino mal edificatione, né grande né picciola, a’ prossimi”. Eccoci allora ricaduti nella turbolenta quotidianità, con più che velati accenni al complesso microcosmo di S. Cristina, alla sua comunità di chierici e forse, ancor più, al capriccioso impuntarsi dei canonici borgomaneresi, tanto attenti alle prerogative della loro Collegiata, come mostrano neppure troppo nascostamente i seguenti proponimenti, come ad esempio quelli sui “...moti della focosità, sulli quali già tanto tempo vi penso, sopprimendola prima di operare”.
Superfluo, qui, sottolineare lo stimolante riferimento, chiarissimo ai suoi occhi, della “focosità” che lo prendeva e lo tentava prima di “operare”, per cui era costretto – dopo “già tanto tempo” a sopprimerla per poter andare avanti. Era un ammonimento evidente per i confratelli borgomaneresi, per i quali si attagliava l’antico detto: Qui habet aures audiendi audiat... (chi ha orecchie per intendere, intenda...).
E che dire di quei “moti di ammiratione” più che mai barocchi, tanto comuni e fascinosi secondo Giovan Battista Marino – il poeta allora più noto e in voga – quanto fin troppo facili e condannabili se, come si autoimpone Francesco, sarà invece necessario non meravigliarsi facilmente “né di disgratie, né di fortune temporali”, bensì meravigliarsi solo ed esclusivamente “...della propria malvaggità e della infinita bontà del Signore, che [ci] sopporta”. L’analisi comportamentale del Quagliotti prosegue impietosa senza tralasciare nessuno dei moti cui gli animi e i corpi di allora (e più che mai di oggi) indulgevano con noncuranza e con un certo colpevole compiacimento: sarebbero stati e saranno dunque da evitare accuratamente “Li moti di leggierezza in trattare con poca consideratione sia nel rispondere, sia nel gestire, sia nel movermi, facendo che il tutto sia composito in omnibus te ipsum praebe exemplum bonorum operum”.






























































































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