Page 72 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
P. 72
concernenti il conferimento del canonicato all’Isola S. Giulio, lo videro – pare – lungamente ammalato a Novara e ospite del vescovo247.
È da quel periodo che la salute di Francesco, già fragile, sarebbe divenuta decisamente instabile, con frequenti ricadute: nella tarda primavera del 1611, dopo un periodo non certo florido, in uno dei suoi periodici viaggi nella natìa Galliate dovette certo soffrire di un certo malessere se l’amico don Francesco Bartolini, curato locale a noi ben noto, bonariamente così lo redarguiva: “...Dirò et dirò il vero, et anche secondo l’opinione di tutti quelli che l’amano sinceramente, che V.S. manca a se stesso et alla sua prudenza singolare in tutte le cose, a non tener più conto della vita che non fa, massime dove non è obbligo tanto urgente come di cura d’anime. V.S. ha provato e prova che non può star sana, et hora v’ha voluto ritornare non essendo in stato di poterlo fare con sicurezza almeno probabile di sanità; anzi, intendo con mio gran dispiacere che già si sente aggravata. V.S. ha giudicio: faccia quanto comporta... Ho scritto a V.S. non con prevenzione di consigliar lei che tanto savia è, ma con affetto di cordiale amore che le porto”248.
Anche don Francesco Poletti, dapprima chierico e allievo del Quagliotti, poi suo confessore nonché collaboratore, e successivamente curato di S. Martino a Novara e infine di Campertogno dove ricoprì anche l’incarico di vicario foraneo non poté esimersi, appena due mesi dopo, dal rappresentare il suo rammarico per il prolungato distacco da un Francesco cagionevole di salute, sempre in bilico tra una precaria sanità e una’altrettanto duratura malattia, così gli scrisse dopo la sua inopinata, frettolosa partenza da Baveno con una pericolosa “febre quartana” in corso: “Ritrovandomi tanto tempo... privo della da me desiata conversatione [...] di quei sì dolci, amorosi, dilettevoli... ragionamenti che io soleva trarre dal suo insatiabile comercio, parmi di essere come una lucerna senza splendore”249.
E di febbre quartana, oltre che di di difficoltà nella gestione, nel “governo” del Collegio si parla anche in una lettera del settembre 1611 indirizzata, probabilmente, a monsignor Dolci. Francesco, pur riconoscendo “...lo studio et obedienza, <la> reverenza che tutto quest’anno” i chierici sempre gli “...portarono”, osservava tuttavia, senza precisare le cause di questo suo sfogo che “...per l’onor di Dio ed utile di questi giovani” il rettore dei seminaristi e collegianti della diocesi “...si degnasse ordinare et acconciare in buona forma le cose di quella Casa”.
Quagliotti era deciso: che si provvedesse in qualche modo, altrimenti lui “...se ciò non fosse effettuato”, non avrebbe più avuto “...pensiero di governarli” quei giovani chierici, “...ma sì bene di leggerli et insegnarli” soltanto, senza più occuparsi dell’intera, complesdsa gestione del Collegio. “Né...” proseguiva giustificandosi il galliatese “...questa mia risolutione è senza giuditio et fondamento, come intenderà a bocca”.
247 Ne accenna il Giovando ma senza alcun riferimento a fonti documentarie attendibili: vds. Giovando, Il Servo di Dio Francesco Quagliotti cit., p. 65. E’ tuttavia un riferimento tra le lettere del Vandoni, curato di Veruno, che può essere illuminante: in una sua missiva indirizzata al nostro, oltre a qualificarlo proprio allora e onorevolmente quale “Theologo e Can.co di S. Giulio” lo indica infatti presente proprio a Novara “...in casa di Mons. Rev.mo”: cfr. AONo, cart. 4, 14 novembre 1610.
248 AONo, cart. 2, 15 giugno 1611. 249 AONo, cart. 4, 30 agosto 1611.