Page 63 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Sappiamo infatti che potenziali, futuri discepoli o allievi ufficialmente residenti o comunque afferenti al Collegio di S. Cristina non sempre si dimostrarono insensibili ai richiami del secolo. Un esempio tra i possibili potrebbe essere proprio quello offerto da un giovane, inquieto cugino di Quagliotti, quel Giovanni Gambaro che gli descrisse le celebrazioni milanesi per la canonizzazione di s. Carlo; aveva saputo che uno dei priori della ‘Bellarmina’ l’aveva segnalato al Quagliotti lamentandosi di certi suoi comportamenti ritenuti sconvenienti e a stretto giro di posta provvide, assai risentito, a chiarire la sua posizione scrivendo al Quagliotti: “...Parlo chiaro: [...] io pensavo di far bene: ne repiglio ingiuria et calumnia [...] fui al ballo, ...se bene con occasione ...per ritrovare alcuni; perché poi, signore, io son fatto secolare perché sii qualche volta sopra cantoni. Non li sta ancho maggior di me et di più edificatione [...] Sarò secolare<!> Che volete che io sia: un capucino?”. Insomma, a suo giudizio gli si era fatto un torto a descriverlo come un giovanotto leggero e dedito al ballo, alla compagnia mondana: dopotutto, sottolineava seccato, era un uomo, viveva nel secolo e, sia pure dando sicuro esempio per la sua “edificatione” non era certo tenuto a comportarsi come un “capucino”211!
In un altro caso, proprio durante le vacanze, tanto temute dal Quagliotti per il bene delle anime dei suoi allievi, un chierico di S. Cristina, smesso l’abito ecclesiastico e trasgredendo con tutta evidenza ai dettami del Collegio in fatto di frequentazioni, una sera di fine estate in seguito ad un acceso diverbio conclusosi – come spesso accadeva a quei tempi – con le spade alla mano, era stato ferito alla guancia e a un orecchio dal suo occasionale avversario.
Per fortuna si era trattato di un colpo certamente inferto di piatto e non di taglio o di punta. La lettera-denuncia del fatto, quantunque (forse volutamente) scarna è molto chiara e sufficientemente circostanziata: “Aviso V.S. come ieri ale tre ore de notte fu feritto sopra una sguancia et una orechia Benedetto Pirola, uno de i soi chierici de Santa Christina. Colui che la feritto si dice essere stato il S.r Gio.Maria Marino, nepote del S.r Curato de Fontanedo; la causa si dice in sacretto che il Pirola voleva magnare nelo piatto che manducava il Marino et perciò V.S. la prego a esersitarsi nell’opere de carità in agiutare per amor di Dio li puoveri de spirito et non li nocheri superbi aciò se adempisca il detto della Vergine santa: ‘Deposuit potentes de sede et esaltavit humiles’. Se V.S. così farà, il S.r Idio la premia. Con questo facio fine basiando la veste et me ricomando. Da Intra, il 26 7bre 1615. di V.S. Molta R.nda per servirla Francesco Pusterla Chierico”.
Lo scrupoloso delatore, il Pusterla – anch’egli chierico e forse, nonostante i cauti, diplomatici “...si dice”, persino testimone del ferimento – prima di spedire le poche, insidiose righe che certo avrebbero influito assai negativamente sulla vita e sul cursus studiorum dell’esuberante chierico Pirola, forse sulla scorta di nuovi particolari saputi – o confessati – solo successivamente, non mancava di aggiungere un post scriptum che a suo parere garantiva l’autentiticà della testimonianza e, quel che più importava, penalizzava ancor più il Pirola che, lo si ribadiva con forza, aveva per primo provocato lo scontro verbale poi degenerato in sanguinosa rissa: “Et in
211 AONo, cart. 1, 26 agosto 1610.