Page 57 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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nominato monsignor Girolamo Settala189 quale suo vicario generale e proprio quest’ultimo nel novembre di quell’anno inviò ufficialmente Francesco a S. Cristina di Borgomanero.
Non vi sono certezze circa i tempi e le modalità pratiche del trasferimento di Francesco nel borgomanerese, aiutano molto tuttavia alcune inedite, preziose, significative istruzioni inviate dal Bascapè, ormai a Roma, al suo vicario generale; è del 31 ottobre 1609, ad esempio, l’appunto: “...Le ricordo di piantare la scuola de chierici grandi a S. Christina, per ogni modo con l’aiuto del Dolce, et vallersi di quelle limosine secondo l’ordine da me dato al Chioccaro”. Proprio al canonico Giovan Francesco Dolci, responsabile del Seminario di Novara, a conferma dell’urgenza e dell’importanza del progetto, sempre l’ultimo di ottobre di quell’anno il vescovo raccomandava: “...operate col sig. Vicario perché quanto prima, se già non è fatto, vada a S.ta Christina il Quagliotto et alcuni giovani a’ quali egli insegni i casi, sì come io ordinai costì”190.
Nella “solitudine” di S. Cristina di Borgomanero
Per chi, come il Quagliotti, giungeva a S. Cristina dalla pianura novarese, il panorama – si vorrebbe dire ‘allora come oggi’ ma purtroppo, per i moltiplicati insediamenti e per una sempre più fitta presenza industriale, non è più possibile – doveva essere rallegrato dalla progressione di boscose balze e colline, e da un ambiente verdeggiante di prati e selve incontaminate non distanti dal corso dell’Agogna. Fra la seconda metà del XV secolo e i primi del XVI, ben prima che fosse eretta la chiesa voluta da Flaminio Casella e consacrata da monsignor Bascapè agli inizi del Seicento era sorto, grazie alla pietà popolare dei contadini e dei massari locali, un piccolo oratorio dedicato al culto di santa Cristina vergine e martire. Un culto antico quello alla santa, equamente presente tra Oriente e Occidente, che si diffuse in Italia settentrionale proprio nel primo Cinquecento191: da quell’onda lunga
189 Già attivo a Milano durante l’archiepiscopato di Carlo Borromeo e in quegli anni (tra il 1603 e il 1618) arciprete mitrato del duomo di Monza e successivamente canonico e penitenziere maggiore del duomo di Milano durante l’episcopato di Federico Borromeo.
190 Per entrambe le missive si veda ASDNo, Lettere episcopali, Bascapè, V, 1, 12/23, rispp. nn. 172 e 181. Mi sembra opportuno sottolineare qui, e se ne riparlerà nel corso della ricerca, il riferimento all’insegnamento dei “casi” di coscienza tenuto dal Bascapè, come si è già osservato, in altissima considerazione e di cui Quagliotti – come si rileva da decine di esempi nel suo epistolario nelle quali i casi sono oggetto di discussione - fu profondo conoscitore ed ascoltato consigliere in materia. Il Dolci era anche canonico della cattedrale, come pure don Giacomo Chioccari. Delle lettere del Bascapè al nostro si sarebbero dovute avere precise informazioni dagli originali manoscritti (ASBR, Lettere, voll. I, IV, V, VI, VII, VIII, X, XI, XII, XIV, XV, XVI, XVII, XIX, XXI, XXII, XXIII, XXIV) grazie all’interessamento di p. Giuseppe Cagni, dell’Arch. Storico dei Barnabiti di Roma (cfr. sua lettera dell’1.12.07, su segnalazione di mons. Pagano, dall’ASV, a sua volta con lettera del 6.11.07 prot. N. 47.160), ma così purtroppo non è stato. Per le missive che riguardano invece e assai da vicino la nostra ricerca è stato molto più utile e fruttoso consultare direttamente i volumi con le copie dattiloscritte delle lettere del Bascapè conservati in ASDNo, V, 1, 12/1-26.
191 Sulla vergine e martire detta e meglio nota come “di Bolsena”, dalla biografia relativamente incerta ma diffusamente venerata già in tempi molto antichi – tra il IV e il V secolo, così come ce ne tramandano la tradizione alcuni martirologi occidentali nonché redazioni latine e greche della passio - si veda per tutti la esaustiva, specifica voce, a c. di A. Amore, I. Belli Barsali, in Bibliotheca sanctorum, IV, Roma 1995, p. 330 ss.