Page 49 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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accenna, sia pure di sfuggita, nei suoi molti spunti epistolari sulla “Bellarmina”, rispettivamente in una sua del 1615 e in un’altra del 1616.
Erano, quelli, periodi di grave crisi per l’inquietante presenza non solo di rude soldatesca straniera ma anche di incontrollabili focolai di contagio da “febri maligne”: un modo come un altro, nelle fonti dell’epoca, per indicare le devastanti e irrefrenabili forme epidemiche di varia natura che, si anticipa qui, sarebbero quasi certamente state all’origine del mortale e non meglio definito malessere di cui perì il Quagliotti nell’estate del 1617: mesi drammatici per eccellenza, quelli caldi, nell’altalenante infierire delle patologie infettive, in un anno di bellicose schermaglie e di assedi tra Novara e Vercelli170.
Dissapori inoltre vi furono per cause che sono da ricercarsi altrove e che poco hanno a che fare con quelli che abbiamo indicato quali importanti fattori esterni e ambientali. Piccoli e grandi rancori, invidie, incomprensioni, per non dire di quelle mancanze, allora considerate assai gravi, concernenti le precedenze nelle processioni o durante le solenni funzioni liturgiche nelle chiese del villaggio. Tema allora quanto mai in voga e che risentiva come pochi altri del rigore e del culto tutto ispanico per l’apparire. Proprio di questo trattano, oltre al resto, diverse fra le lettere di un parente di Francesco, quelle del Muttino, un suo omonimo che, tra il dicembre del 1613 e il febbraio del 1616 delinea un quadro niente affatto roseo, tra alti e bassi, per la scuola di dottrina cristiana ideata da Quagliotti.
In quelle lettere, dalla metà del 1614 alla metà dell’anno successivo uno sconsolato ma spiritualmente combattivo e infervorato Muttino parla apertamente di “decadenza” – è proprio questo il termine usato – all’interno della “Bellarmina”. Le ragioni pare fossero diverse e di un certo rilievo: influirono sicuramente, ad esempio, i pessimi rapporti tra il giovane istituto e alcune tra le più antiche e solide confraternite locali, così come furono da addebitare al capriccioso, polemico puntiglio di taluni sacerdoti che non si esita qui a definire, stando a quanto riportano le amare considerazioni indirizzate al nostro, quali invidiosi e rancorosi ‘rivali’ dell’opera benefica promossa da Francesco.
Inoltre, se vera decandenza vi fu, certo una parte della responsabilità dev’essere attribuita anche ad un comprensibile, inevitabile, graduale intiepidimento dell’iniziale entusiasmo e dello zelo spirituale dei suoi membri. Anche di questo fa puntualmente cenno il Muttino: pare infatti che proprio la prolungata assenza di Francesco il quale, come vedremo tra breve, nel tardo autunno del 1609 era ormai stato destinato da mons. Bascapè a rivitalizzare il semideserto Collegio di S. Cristina di Borgomanero, avesse a più riprese provocato il progressivo scoramento di non pochi membri della “Bellarmina”. Muttino, pur consapevole dei nuovi incarichi pastorali affidati al parente, rimarca qua e là l’assenza di Francesco tra i motivi di progressivo degrado morale e spirituale, specie tra i più giovani scolari e ne auspica
170 Cfr. ivi. Di don G.B. Merlo si vedano almeno ancora le lettere dell’ 11 giugno 1610 (lite con altre schole locali); del 3 luglio 1611 (donazione alla “Bellarmina” di beni diversi da parte del comune di Galliate, progetto per l’erezione di una chiesa confraternale); del 13 luglio 1611 (notizie sulla costruzione della detta chiesa); del 28 giugno 1615 (chiede la facoltà di poter confessare i membri della scuola).