Page 45 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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borromaica, si cercava di organizzare sacre rappresentazioni con l’intervento pressoché esclusivo di bimbi e ragazzi, a Galliate l’intento era invece quello di coinvolgere tutta la popolazione, anche quegli adulti distratti e meno vicini alla Chiesa, fasce d’età che oggi diremmo a rischio: adulti che spesso partecipavano ai riti solo formalmente, senza una reale attenzione a quanto si svolgeva all’altare. Un’idea, per avviare l’insegnamento della dottrina del piccolo borgo, innovativa e vincente155, realizzata con audacia, fantasia e pia convinzione, sia pure col rischio di spostare troppo l’attenzione all’aspetto teatrale rispetto a quello eminentemente spirituale. Pur tra dubbi e perplessità era un rischio da correre e la Chiesa lo sapeva ormai da tempo pur continuando la sua battaglia contro il teatro profano, specie quello dei detestati comici dell’arte, che considerava generalmente volgare, licenzioso e dunque complessivamente censurabile.
D’altronde, per attirare la gran massa dei fedeli di ogni ceto ed età, per cercare di interessarla e, ad un tempo, istruirla nella dottrina cristiana, le istituzioni ecclesiastiche avevano cominciato a mostrare un sempre maggiore interesse, specie dall’età post conciliare tridentina, per quelle rappresentazioni che, opportunamente pensate e gestite, risultavano pedagogicamente assai convincenti per un primo approccio alle sacro Scritture. Si trattava insomma di spettacolarizzare il contenuto del catechismo in uso, certo con equilibrio e in piena conformità con le rigorose normative vigenti, favorendo così lo studio e in molti casi la memorizzazione di interi brani scritturali156.
Certo, si trattava di una semplice iniziativa che in ambito locale sarebbe stata destinata, senza lo sprone morale del giovane prete, a non essere più ripetuta; ci voleva qualcosa di diverso e di stabile, di duraturo e di ufficiale: ci voleva, in altre parole, una istituzione che incidesse durevolmente e profondamente sulle coscienze, che non fosse la partecipazione alla vita delle già vivaci e rissose confraternite locali. Quagliotti non ebbe dubbi e, come si diceva, propose la fondazione di una scuola per la diffusione organizzata della dottrina cristiana.
Tale Scuola o Compagnia, promossa nel 1609, venne da subito chiamata la “Bellarmina” nel duplice intento di onorare il più noto, allora, tra i cardinali, impegnato ai massimi livelli nella strenua difesa e nell’ardua diffusione della fede cattolica e dei diritti di santa romana Chiesa. Tempi veramente ardui se si riflette sul fatto che erano gli anni della stabilizzazione del protestantesimo, del nascente giansenismo, della lotta alla stregoneria, dell’irrigidimento delle monarchie e delle chiese nazionali, specie di quelle inglesi e francesi.
155 AONo, cart. 6, 28 giugno 1612. Anche nella Milano del cardinale Federico Borromeo ci furono, è noto, molte di queste rappresentazioni. Come rileva entusiasta Ludovico Magno in una lettera a Quagliotti: in città, racconta Ludovico, si era da poco organizzata una grandiosa manifestazione (“rappresentatione”) scenica “...di tutta la vita e morte di s. Carlo” e lui, Magno, avrebbe partecipato sia nel ruolo di “...suo cameriere”, sia in quello, in un altro momento scenico, di s. Martino. La complessa rappresentazione, a cura di numerose scuole urbane di dottrina cristiana, per un totale di circa centoventi attori-comparse, visto che “...li Superiori havevano pigliati 10 o 12 per scuola” sarebbe stata in totale di circa centoventi figuranti e, quel che più avrebbe contato, si sarebbe eseguita “...avanti il nostro Pastore, Federico Boromeo”. Sull’argomento si veda ancora e in generale La scena della gloria cit.
156 In particolare si veda il saggio di F. Marchesi, Teatro e teatralità nelle scuole della dottrina cristiana fra la seconda metà del XVI e la prima metà del XVII secolo. Una prima ricognizione, in La scena della gloria cit., pp. 302-332.