Page 43 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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disfacimento del corpo, sulla inevitabile corruzione corporea connessa al giacere nel sepolcro149.
Il vuoto sepolcro che attendeva era, da ultimo, l’ambigua rappresentazione di atterrita ma irresistibile attrazione verso un destino che, radioso per le speranze dell’al di là cristiano, passava pur sempre attraverso una fase di inquietante, spaventoso ignoto, di degrado e decomposizione resa forse ancor più evidente, nel disegno di Francesco, attento ai minimi particolari, dall’aver posto sul grosso teschio affiorante e quasi ammiccante una berretta da prete. Un evidente, preciso riferimento al suo effimero, temporaneo status di uomo e di sacerdote; sicuramente un monito dunque, anche se non privo di un meditato aggancio alla realtà e alla vita: un teschio sì, ma con un cappello da prete.
Dalle poche parole leggibili, infine, vergate poco sopra il disegno, appare un ultimo riferimento scritturale che forse spiega ancora meglio lo stato d’animo e l’umiltà del novello sacerdote, che si sentiva indegno della missione affidatagli e che “adhuc... plantationes non dabunt radices altas nec stabiles”150; a questa segue un’altra parziale citazione biblica: “Ne impie agas multum... ne moriaris in tempore”151 che ancora una volta deve intendersi quale monito a se stesso e agli altri, cui certo il disegno e le parole erano implicitamente destinati.
È questo insomma lo stato d’animo con cui Francesco nell’autunno del 1609 diede avvio al suo ministero. Il suo cursus accademico milanese presso i Gesuiti d’altronde, l’aveva preparato ad affrontare il suo ministero sacerdotale e gli aveva anche consentito di riflettere su alcune scelte pastorali borromaiche152 e, all’occasione, di metterle in pratica.
Oltre ai propri umani limiti, così coraggiosamente e profeticamente espressi, egli aveva ben chiari alcuni punti che riteneva fondamentali – come vedremo – per la
149 Sui particolari emotivi, sociali, spirituali, letterari e artistici, e quantunque pubblicate nel 1957, poco più di mezzo secolo fa, sono però sempre suggestive le pagine sulla ‘sensibilità macabra’ in A. Tenenti, Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento (Francia e Italia), Torino 1977, p. 121 ss.
150 Sapienza, 4,3: La sacra Bibbia cit., p. 646.
151 Qoelet (Ecclesiaste), 7, 18: Ibid., p. 632.
152 Era allora arcivescovo di Milano il cardinale Federico Borromeo (1564-1631), nipote di s. Carlo. Nominato cameriere segreto e poi cardinale da papa Sisto V nel 1587, ebbe la responsabiltà della cattedra ambrosiana dal 1595, succedendo a monsignor Gaspare Visconti. Ancorché sia superfluo dilungarsi sulla figura di tale celebre prelato, se rammentano qui, almeno per sommi capi, i tratti salienti a partire dai suoi studi pavesi, fino al raggiungimento del dottorato in teologia. Sollecitato da parenti e amici a trasferirsi a Roma, ebbe modo di incontrarvi – divenendone in breve amico e discepolo - s. Filippo Neri, presso l’Oratorio della Vallicella. Ancora giovane, gli vennero conferiti incarichi di prestigio in diversi dicasteri vaticani. Il suo episcopato milanese, avviato nel giubilo della cittadinanza e con iniziale, discreto rapporto con le autorità d’occupazione spagnole, venne in seguito e reiteratamente disturbato da scontri con l’amministrazione ispanica. Federico pose il massimo impegno nell’azione pastorale mantenendosi rigorosamente sulle orme di s. Carlo, suo zio: oltre quindi all’assidua predicazione e al riordino dell’amministrazione diocesana, riprese con rinnovato vigore la pratica delle visite pastorali. Nel corso del suo lungo episcopato ebbe purtroppo quali gravissime preoccupazioni non solo quelle connesse alla situazione politica e militare locale e internazionale (le crisi per il possesso del Monferrato, per la successione al ducato di Mantova inscritta nel più ampio quadro delle tensioni provocate dalla guerra dei trent’anni), ma anche quelle legate alla lotta all’eresia, alle credenze magico-stregoniche e quelle riguardanti la spaventosa epidemia di peste. Amante delle arti e attento alla puntualità del cerimoniale liturgico, diede un impulso notevole alla costruzione e restauro di chiese e santuari (ad esempio i sacri monti) secondo la normativa conciliare tridentina e promosse la fondazione e l’edificazione della Biblioteca Ambrosiana (1609), da subito considerata tra le più prestigiose d’Europa: per tutti si veda la voce Borromeo, Federico, a c. di C. Marcora, A. Barigozzi Brini, in DCA, I, cit. p. 472 ss. e bibliografia ivi segnalata.


























































































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