Page 34 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Fara, o Farra, e gli vennero imposti i nomi di Giovanni Francesco alla presenza, oltre che dei genitori, Melchion e Clara Latte, del padrino (compadre), Giovanni Antonio Canna e della madrina, Domenica (Domenighina) Leonarda.
Il clima in cui mosse i primi passi Francesco era di profonda, semplice religiosità: il villaggio era punteggiato dalle chiese: ben otto nel 1590, senza contare le compagnie dei Disciplinati, le confraternite, la Scuola per la dottrina cristiana103; e proprio tra chiesa e Schola erano impegnati non pochi membri della famiglia: gli zii Andrea e Gaspare, fratelli di suo padre, erano membri presso la scuola di dottrina, mentre un altro zio, Domenico, era sacerdote, cappellano presso la chiesa di S. Dionigi in Galliate104, con l’obbligo di celebrare quattro messe alla settimana e impegnato nell’insegnamento della dottrina cristiana.
Della fanciullezza di Francesco, penultimo di cinque figli105, sappiamo ben poco: in molti hanno ragionevolmente immaginato un suo progressivo avvicinamento – di cui sarebbe semplicistico offrire le modalità secondo schemi narrativi utili a una lettura più divulgativa che attenta agli effettivi agganci storici106 e che non è facile collocare nel tempo – alla figura dello zio sacerdote, specie, come sembra sensato aggiungere, dal 1592, dopo la morte quasi contemporanea del padre107 e della nonna paterna. Tale doppio, grave lutto familiare influì senz’altro sullo spirito e sul carattere del bambino. Cresciuto in un ambiente dove il fervore religioso, le devozioni familiari e popolari e l’insegnamento della dottrina permeavano il pensiero e scandivano in vario modo la giornata di ciascuno, senza distinzione di nascita, di cultura, di attività, Francesco entrò sempre più nell’orbita della vita religiosa seguendo un percorso allora molto comune, soprattutto grazie all’esempio e all’azione efficace e intelligente dello zio sacerdote. Sia pure di qualche anno più tarda, quale testimonianza, don Ramella – che sappiamo tra i curati della parrocchiale – rilevava infatti compiaciuto che Francesco era assiduamente in chiesa, frequentava la scuola di dottrina e serviva volentieri messa: “Francesco Quagliotto è di età di
103 Affronta in generale l’argomento P.G. Longo, Per uno studio delle confraternite novaresi. Prospettive storiografiche ed indagini problematiche, in “Novarien.” 5 (1973), p. 60 ss. Per la nascita delle scuole di dottrina cristiana si veda in generale e per quanto riguarda l’insegnamento di base X. Toscani, Le “Scuole della Dottrina Cristiana” come fattore di alfabetizzazione, in Da Carlo Borromeo a Carlo Bascapè. La pastorale di Carlo Borromeo e il Sacro Monte di Arona, Atti della Giornata Culturale, Arona, 12 settembre 1984, Novara 1985, p. 35 ss. e in particolare, con un’attenta analisi locale, D. Sironi, L’organizzazione e la diffusione dell’insegnamento della Dottrina Cristiana nella diocesi di Novara dal Concilio di Trento alla metà del Seicento, in Ibid., p. 280 ss. e, della medesima Autrice, L’educazione cristiana del popolo, in Carlo Bascapè sulle orme del Borromeo cit., p. 261 ss.
104 La cappella dedicata al santo era di giuspatronato della famiglia de’ Marconi: un ulteriore dato, questo, che fa riflettere sul prestigio e la considerazione almeno, se non sullo status sociale, di cui evidentemente ancora godevano a fine Cinquecento gli esponenti dei diversi rami della famiglia in cui nacque Francesco.
105 La primogenita, Agnese, morì in tenera età, prima che nascesse Francesco; vennero poi Caterina, Agnese – che prese il nome della defunta sorellina – le gemelle Lucia e Margherita, il Servo di Dio e infine Giacomina. Di tutti loro si può rilevare che Lucia visse nubile, mentre Caterina si sposò con Antonio (de Marconi) Percini e Agnese con Giovanni Brustia; Margherita contrasse matrimonio con Giacomo Airoldi e infine Giacomina, che si unì invece a Giacomo Popolo.
106 Ad esempio le pur sempre accattivanti pagine di L. Lilla, Come scintille cit.
107 Pare sia da spostare avanti di un anno la dipartita del padre di Francesco, stando ad un interessante testamento di Melchion Quagliotti, di cui si precisa che si trovava a letto “infirmus de infirmitate de qua mori”: cfr. ASNo, Notarile, minutario 3999, notaio Boniforte Quagliotti, 12 ottobre 1592. Quanto alla morte di Clara Latte, vedova di Melchion Quagliotti e madre del nostro, è da collocarsi l’11 gennaio 1613, ma se ne accennerà più avanti.