Page 22 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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sacerdote, specie se con cura d’anime e con gravi responsabilità pastorali: preti che, oltre ad una rinnovata e più appropriata preparazione, dovevano anzitutto avere nel loro vescovo un esempio e modello da seguire.
Non va dimenticato purtroppo, che diversi tra i non pochi prelati che si susseguirono sulla cattedra episcopale novarese50 nel secondo Cinquecento, in maggioranza di origini lombarde, non sembra avessero particolarmente a cuore – tra le pur gravi responsabilità del loro ministero – la salute spirituale del loro gregge e, ciò che più contava, l’acculturazione e la formazione del clero, così come il modo di vivere e di porsi agli altri del sacro ordine degli oratores51.
Eruditi e storici di antico regime non mancarono di rilevare – trattando della vita e delle opere dei presuli novaresi – di sottolineare luci ed ombre del loro comportamento, perfettamente in linea con l’arrogante alterigia di un’aristocrazia padana ormai ispanizzata dalle cui fila peraltro e in gran parte provenivano. Nel corso del lungo Cinquecento furono diversi i casi di vescovi novaresi che solo saltuariamente mantennero saldo un rapporto di costante presenza fisica e morale in diocesi; in molti, troppi casi seppero approfittare della loro prestigiosa posizione gerarchica, cui non poteva andare disgiunta una miriade di vari diritti signorili di schietta e secolare matrice laica, badando così più spesso ad arricchire se stessi e i membri della loro schiatta che a procurare vantaggi spirituali e materiali alla popolazione, già soggetta a severi obblighi civili, specie in materia di prelievo fiscale.
È certo fuor di dubbio che in qualche caso, nel ricostruire le vicissitudini storiche della Chiesa novarese e del comportamento dei suoi presuli lungo il Cinquecento, ci sia stata da parte di taluni storici una visione non di rado polemica ed esageratamente pessimistica52. Una visione, questa, che è stata giustamente stigmatizzata, a suo tempo, da chi invece ha saputo individuare, rivalutandoli e valorizzandoli, taluni momenti e figure del clero gaudenziano53. Un panorama questo che tuttavia non deve portare a conclusioni affrettate e meno ancora a revisioni radicali. Se non è il caso infatti di eccedere con giudizi esclusivamente e generalmente negativi, non è per contro possibile immaginare una situazione del tutto opposta e quindi complessivamente rosea e senza problemi. Dalle lettere episcopali del Bascapè emerge inequivocabilmente un quadro che se non è totalmente fosco, certo non è neppure lontanamente brillante, anzi, specie riguardo al comportamento del clero diocesano.
Una percentuale assai elevata di lettere del vescovo barnabita ha infatti per agomento principale la corruzione e l’indegnità di preti e frati particolarmente restii,
50 Bascapè, La Novara sacra cit. in paticolare il riferimento ai vescovi Della Rovere e Serbelloni, C. Morbio, Storia della città e diocesi di Novara, Novara 1841 (rist. anast. Bologna 1979), Longo, La Chiesa novarese cit., passim.
51 Sulla suddivisione della società in tre ambiti distinti eppure dipendenti tra loro nella definizione inizialmente enunciata da Adalberone, vescovo di Laon, ai primi dell’XI secolo, si vedano le ricerche di lungo periodo di G. Duby, Lo specchio del feudalesimo, Roma-Bari 1989.
52 E’ sicuramente il caso delle pur importanti e belle pagine della Storia di Novara del Cognasso che in diversi punti, oltre a risentire, come si è accennato sopra, di tendenze storiografiche ormai francamente superate, assume toni e propone interpretazioni storiche per molti aspetti opinabili.
53 Andenna, recensione cit., in partic. pp. 175-176, che però ha a sua volta una visione della Chiesa gaudenziana durante il difficile periodo della riforma che forse, in questo caso, appare come eccessivamente ‘positiva’.


























































































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