Page 20 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Ma torniamo per un momento alla mutevole, fragile situazione politica e religiosa italiana di fine Cinque e inizi Seicento. Non furono certo solo Venezia e le sue tendenze centrifughe da Roma, filofrancesi e filoprotestanti, a preoccupare le gerarchie della Corte romana. Il Piemonte dei duchi di Savoia45 e la Lombardia spagnola impensierivano altrettanto e dunque non poco il Papa, l’onnipotente cardinal nipote di turno e, naturalmente, i vescovi locali, quasi sempre sottoposti al triplice fuoco di fila delle critiche inqusitoriali, della corte pontificia e della dinastia signorile al potere nei territori ove si trovavano le loro diocesi.
Nel caso del territorio novarese, il pericolo e le tensioni provenivano da un’ampia gamma di fattori. Prima fra tutte l’ampia fascia di aspri, impervi territori montani. Passi e cime dalla difficile raggiungibilità, con sperduti villaggi che confinavano con i paesi elvetici “infetti d’heresia” che la Chiesa milanese, di cui quella di Novara farnesiana e spagnola era suffraganea, e specie a partire dall’episcopato del cardinale Borromeo, doveva raggiungere e tenere sotto stretta vigilanza per fronteggiare le infiltrazioni riformate che da lì, così come dai territori dei Grigioni e dalla Valtellina, potevano in breve raggiungere la pianura e le città.
Era, questa del controllo delle zone e dei passi montani, una spina nel fianco di importanza nevralgica per l’affannata diplomazia ispanica. Una nota dolente e stonata in piena Europa cattolica, grazie soprattutto all’ininterrotto, incontrollabile e fondamentale flusso e riflusso di mercanti e soldati in un percorso che univa il nord Europa – con il caldissimo e sempre vivo fronte delle Fiandre – al pericolosamente instabile, variegato sistema di stati padani dalla spregiudicata quanto disinvolta poltica di alleanze.
Si riscontravano – e sono documentati – decine, centinaia di casi di transito e diffusione di idee ereticali (oltre che di spionaggio) attraverso i permeabili, labili confini settentrionali d’Italia, specie in occasione di alcune drammatiche emergenze politico-militari del primo Seicento quali furono, ad esempio, le cosiddette guerre per il Monferrato, con l’assedio di Vercelli; la questione delle scorrerie anfibie dei pirati uscocchi e le tensioni tra Venezia, gli Spagnoli e i vicini sudditi dell’arciduca d’Austria.
Per questo Novara non fu solo, specie a partire dalla metà del secolo XVI, una città di confine tra stati dove a fronte di rilevanti mutamenti politici locali ed europei46 si eressero nuove fortificazioni smantellandone di più antiche e ormai più deboli, e dove si ridisegnò parte della struttura urbana mutando l’assetto di strade e sobborghi con la distruzione, oltre al resto, di non poche chiese. Novara fu anche e
45 Si tenga presente almeno, in un vasto e sfaccettato panorama bibliografico, il denso volume di P. Merlin, C. Rosso, G. Recuperati, G. Symcox, IlPiemonte sabaudo: stato e territori in età moderna, Torino 1994, nonché l’aggiornato e fin troppo sommario saggio di C. Storrs, La politica internazionale e gli equilibri continentali, e quello di G. Symcox, Dinastia, stato, amministrazione, entrambi in I Savoia. I secoli d’oro di una dinastia europea, a c. di W. Barberis, Torino 2007, rispp. pp. 3 ss. e 49 ss., con tutti i pregi e i difetti di una antologia di saggi talvolta solo sottilmente legati tra loro.
46 Ad esempio, tra i più recenti e specifici lavori di settore, si veda l’ampia monografia di A. Blythe Raviola, Il Monferrato gonzaghesco. Istituzioni ed élites di un micro-stato (1535-1708), Firenze 2003, pregevole lavoro di ricostruzione del contesto politico-economico di quel territorio ma non altrettanto valido nel riferire del drammatico conflitto tra corone straniere e potentati italici per i quali rinvio invece agli studi più oltre citati.




























































































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