Page 196 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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dei biografi moderni del nostro non senza una vena di ironia rileva che il curato tanto atteso “...tempo dopo se ne andò da Macugnaga lasciandosi dietro dei debiti”565.
Una vicenda, ammettiamolo, che se in fondo lascia un certo amaro in bocca, ben rappresenta tuttavia il sentire profondo e commovente di quell’oscuro e ormai sbiadito popolo dei villaggi alpini di un’Italia che, tra le carte polverose degli archivi, appare ‘moderna’ solo secondo i manuali di storia ma che sembra, in qualche caso a ragione, ancor più legata a credenze e ansie che si perdono in un tempo non precisamente etichettabile quale, genericamente, di ‘antico regime’, ma che addirittura e più facilmente pare riferibile ai più lontani secoli del medioevo.
Il 9 settembre, ad estate quasi finita, Francesco ricevette una lunga lettera566 da Francesco Poletti, parroco a Novara, che non solo gli comunicava una serie di minute notizie amministrative567 ma con profondo senso dell’amicizia soggiungeva commosso che “poi m’estendo d’esser obligato mille volte più del detto debito et più, dico, che a mio padre et mia madre, perché se da loro sii sta generato e 2° la carne, nella quale si muore, ma cotesto luogo...” – cioè il Collegio di S. Cristina retto dall’amico – “...per mezzo suo m’ha generato verso lo spirito, nel quale si vive, et viverò se attenderò a quello”.
E non solo: con la probabile soddisfazione del teologo suo interlocutore, don Poletti proseguiva dandogli “...aviso come gli s.ti Essercitii” – quegli esercizi spirituali dunque, che aveva imparato a fare e meditare proprio in Collegio e solo grazie alle paterne attenzioni e cure spirituali del nostro568 – “...talmente m’hanno
che l’Autore, senza specificare le sue fonti, dice provenire da Macugnaga. Dopo alcuni mesi tuttavia, il parroco ad interim venne a sua volta rimpiazzato da un altro sacerdote, tale Giovanni Giger: cfr., sia pur con qualche cautela, T. Bertamini, Storia di Macugnaga, 2 voll. I, Intra, rist. 2005, pp. 303-306.
565 Giovando, Il Servo di Dio Francesco Quagliotti cit., pp. 196-197. Il biografo moderno fa inoltre riferimento alla vicenda, per molti versi simile ma dall’esito positivo, che vide protagonista un giovane chierico svizzero (“todesco”), originario della Val Mesolcina, in diocesi di Coira, “...mandato esso pure a Santa Cristina dal Vescovo di Novara; il quale, il 1° settembre v’indirizzò pure il Curato di Quarna sopra affinché per alcune settimane s’edificasse delle virtù del Servo di Dio” (ivi, p. 197). Le scarne e non del tutto precise notizie offerte dal Giovando – e sempre senza riferimenti archivistici - sono reperibili in un’interessante e come di consueto bellissima missiva del solito prevosto di Omegna, don Alberganti, che nella sua fitta corrispondenza con il nostro ci restituisce numerose, preziose informazioni. Don Giovanni ci informa quindi che “...Viene il R.do Chiesa, Curato di Quarna di Sopra, apportator presente, inviato da Mons.r Ill.mo Cardinale Patrone, intanto che egli giudicarà espediente la causa [...] l’ho consolato et assicurato che V.S. li sarà Padre amorevole in tutte le cose, et tanto spero per la confidenza che va crescendo in me ogni giorno della bontà et bone qualità di V.S. Molto R.da, da che aspetto ancho qualche bona nuova del R.do sacerdote todesco qual tiene in educatione; spero sarà fruttifero per il culto divino et salute dell’anime. Se in queste parti posso servire V.S. Molto R.da in qualche cosa mi comandi liberamente, che sarà il maggior favore che potrò ricevere da lei, a che di tutto cuore mi faccio schetissimamente raccomandato et alle sue sante orationi; farò anch’io tant’altro a vicenda, anchor che stroppiatamente. Da Omegna, il p.o settembre 1616. di V.S. Molto Magnifica et Molto R.da. devotissimo in Christo figliolo et servitore – L’Indegnissimo Prevosto d’Omegna”: AONo, cart. 2, I settembre 1616.
566 AONo, cart. 4, 9 settembre 1616.
567 Poletti avvisava Quagliotti di aver “...trovato il libro del manegio ch’io feci costì nel Collegio”, dunque di aver reperito un libro mastro di contabilità dell’istituto retto dal nostro, spiegando che tale volume “...è notato nel principio l’anno 1614, nel mese di novembre, et finisce nell’anno 1615, nel mese di luglio; et credo che questo fosse riportato in cotesto libro de conti, come in fatti troverà costì”. Qualcosa tuttavia doveva preoccupare lo scrupolosissimo don Poletti: “...et quando penso et ripenso non so d’onde io possi formar questo mio debito, salvo per le lire 96 quali la maggior parte m’intendo che a lei siano dovute, perché mi riccordo in che modo l’ho ricevute”. Non già che ci fossero ombre sulla sua gestione finanziaria, anzi, “ma...” soggiungeva un po’ in ansia all’amico il parroco di S. Martino “...è che mi piace il chiaro”.
568 A sua volta l’avvocato e castellano Girolamo Torelli, un laico amico devoto e collaboratore del nostro, non mancava di rilevare a questo proposito che proprio per far raggiungere al clero secolare una formazione ideale, una vera e propria “...perfettione et cognitione della vita spirituale” Francesco sapeva ormai “...per prova, quanto lume prendessero i