Page 195 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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assai spiacenti – non ricevevano il fondamentale pane della Parola divina e dell’Eucaristia: “..per esser così longo tempo che già non ci sii detta”
Perché la paura c’era dunque, e tanta, negli uomini e nelle donne (peraltro non nominate) dell’alta val d’Ossola: i lunghi mesi isolati, senza capire, senza potersi far capire dal solitario e incomprensibile “prette Ruzzo”; il timore e il disagio per non poter comprendere bene la Parola divina a causa della lingua... Ed ancor più forte ci viene rappresentato, nelle semplici parole del delegato del villaggio, Thomas Burcha, il dispiacere di quei rudi montanari della sperduta, desolata Macugnaga del primo Seicento, al pensiero di non poter effettuare una puntuale confessione “...quando il confessionario et il confitente non sono d’una lingua”.
Non c’era astio, diffidenza e nemmeno livore nei confronti del prete ‘straniero’ già presente in parrocchia, anzi; ma pareva doveroso e inderogabile rappresentare alle competenti autorità ecclesiastiche che sì, il rito liturgico veniva regolarmente celebrato e che sì, anche i sacramenti erano puntualmente praticati ma tutto restava “...solo imperfetto perché la sua, et nostra lingua si fanno riserva” spiegavano accorati e un po’ disorientati i villici di confine, così “...come la Francesa et la Piomonthesa”562.
In anni durante i quali la Chiesa di Roma stava provvedendo a blindare, per così dire, le sacre Scritture e la liturgia in un latino incomprensibile e storpiato dalla gran massa dei fedeli; quando i libri sacri – dalla Bibbia ai Vangeli, dai testi di patristica ai più semplici e diffusi catechismi o ai manuali per la dottrina cristiana – venivano rigorosamente stampati in latino previo rilascio di licenza apposita delle autorità ecclesiastiche e inquisitoriali, quei montanari della rocciosa val d’Ossola, di cultura e idioma Walser, chiedevano e ottenevano che fosse loro garantito un sacerdote che potesse far loro comprendere la Parola di Dio in “nostra natural lingua”563.
L’ingenuità e le speranze degli abitanti di quella che solo oggi è un’amena e turistica località alpestre si spinsero forse oltre misura nelle loro aspettative e nell’apprezzamento del potenziale operato del sacerdote elvetico ivi destinato564. Uno
562 Non si deve dimenticare che l’uso liturgico del latino, per curati e parroci non escluse l’impiego doveroso, colloquiale e quotidiano di un italiano che la normativa ecclesiastica desiderava possibilmente almeno comprensibile e appropriato, se non correttissimo e forbito, anzi. L’italiano dei preti e non solo il latinorum manzoniano venne insomma ad essere inteso, proprio in età borromaica, non solo come segno distintivo dell’acculturazione ecclesiastica ma anche e soprattutto della dignità e del prestigio del clero in mezzo a popoli che abitualmente si esprimevano ben più rozzamente e pressoché solo in dialetto. Tra i successori di Carlo Borromeo proprio suo cugino Federico ebbe una particolare attenzione alla preparazione e alla figura e all’eloquio del “prete civilizzato”, del sacerdote “cortese” e ne trattò con passione anche nei suoi Sacri ragionamenti... distinti in dieci volumi, In Milano, per Dionisio Gariboldo, 1632-1646, II, p. 477 s.: un modello di ecclesiastico barocco per il quale rimando a De Boer, La conquista dell’anima cit., pp. 140 ss., 145 s., 149 ss.. Un processo lentissimo e controverso quindi, quello dell’uso del latino ma anche, e diversamente, dell’italiano in chiesa, che studi recenti hanno dimostrato essere comunque foriero – nel lungo periodo - di mutamenti linguistici importanti: su tale innovativa teoria si veda il contributo di G. Pozzi, L’italiano in chiesa, in Cultura d’élite e cultura popolare nell’arco alpino fra Cinque e Seicento, a cura di O. Besomi e C. Caruso, Basel-Boston-Berlin 1995, p. 303 ss.
563 Rinvio qui ai più recenti e fondamentali testi sull’argomento, peraltro già segnalati altrove anche in questa sede, di Gigliola Fragnito, La Bibbia al rogo cit. e Proibito capire cit.
564 Quanto mai confusa, in generale, la storia della presenza sacerdotale a Macugnaga e proprio in quel torno di tempo, secondo il Bertamini, autore dei due ponderosi tomi di storia del borgo montano. La fin allora regolare serie di parroci si interrompe proprio nell’autunno del 1616, proprio quando un prete Giovanni De Rossi (latinamente De Rubeis), forse il Ruzzo in idioma Walser, viene provvisoriamente sostituito da un collega, tale Giovanni Oberti (lo Huber, appunto)



























































































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