Page 193 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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curiosità delle popolazioni rurali e dall’altro al subdolo lavorìo degli “infetti” predicatori itineranti d’oltralpe, alle stampe, ai fogli volanti, anonimi e spesso clandestini, che circolavano di mano in mano, di cuore in cuore, giungendo sovente a far nascere dubbi e disagi558 se non a scalzare del tutto il credo cattolico romano.
Genti di villaggio, tra l’altro, formate prevalentemente da pastori, contadini e artigiani che, immersi com’erano nei boschi e tra i ghiacci, e in molti casi lontani ore e ore di marcia dalla più vicina parrocchia, fluttuavano ancora incerti in una religiosità popolare, spesso ancorata a visioni e credenze paganeggianti tendenti, più che al soprannaturale, al magico e allo stregonico. Tutti fenomeni, questi, che moltiplicavano l’allarme sia nella curia episcopale novarese, sia presso gli uffici dell’instancabile e assai rigoroso padre inquisitore.
“Havendo io” esordiva quindi il cardinale nella sua lettera “...designato di mandare alla Cura di Macugnaga Prete Gioanni Huber, Lucernese renditore della presente” Quagliotti sarebbe stato “...adunque contento di riceverlo volontieri, soministrandoli il vito necessario et farli carezze, trattandolo bene”.
Il presule rassicurava poi il nostro, probabilmente immaginando i dubbi dell’esperto rettore e docente di S. Cristina, sulle buone qualità del candidato: il prete lucernese infatti era stato preventivamente “...esaminato e trovato assai sufficiente quanto alla lingua latina” ma, si rammaricava Sua Eminenza, non era sembrato altrettanto ferrato “..ne’ casi di coscienza”.
Per questo, concludeva, si era risoluto di mandarlo nel Collegio retto da Francesco, specializzato appunto in casistica, per fargli affrontare quello che oggi potremmo ben definire un corso concentrato e accelerato. Una volta giunto e trattenuto “...costì per tutto il mese d’agosto affine che l’instruiate et nello studio di detti casi e nella disciplina ecclesiastica” e superate, è lecito supporlo, delle prove finali, allora, continuava Monsignore “...pensiamo condurlo con noi alla Visita et consignarlo alla cura di quella chiesa”. Inutile discutere: il cardinale terminava con un “Lo raccomando caldamente” che non ammetteva repliche di sorta559.
Francesco, ligio alle richieste del suo vescovo, accolse degnamente il sacerdote elvetico e, sia pure, forse, con qualche residuo dubbio, gli impartì le debite lezioni. Nell’ottobre del 1616 però, una lettera cortese ma ferma persuase il nostro a terminare rapidamente il corso, durato in realtà non uno ma tre mesi, per far sì che
558 Malesseri che non si deve credere fossero esclusivi delle estreme zone di confine. In una sua lettera al nostro, don Giacomo Tacco, canonico di Pallanza, si lamenta con una certa veemenza infatti affermando senza mezzi termini che se “...piacerà a Dio provedermi o di sanità, o d’altra occasione [...] più facilmente haverò licenza da Mons.re Ill.mo di star altrove [...] e sappia che se l’infirmità non mi trattiene, spero far la vita che mi resta altrove, ché a Pallanza [...] pare sia impossibile che si possa far bene”. E’, questa, una triste, curiosa conferma dell’insofferenza che gli abitanti di Pallanza avevano nei confronti dei sacerdoti e, in generale, della Chiesa novarese: dubbi e disagi – si diceva – che proprio monsignor Bascapè aveva rilevato con sorpresa e sdegno in decine di preoccupatissime lettere del suo ricchissimo epistolario, tanto da indurlo a scrivere più e più volte a Roma, in Curia pontificia, per spiegare e, perfino, per giustificare il suo operato nei confronti del piccolo villaggio lacuale da cui erano state spedite lettere, spesso anonime, che ponevano in cattiva luce il vescovo. Missive dal contenuto in genere inventato- come non manca di sottolineare costernato Bascapè - creato ad hoc per mettere in qualche imbarazzo la Chiesa gaudenziana, che travisavano l’azione pastorale del presule, attribuendo al Bascapè fatti e parole di inaudita gravità. Dei falsi insomma, per i quali a Roma si diede senza alcun dubbio ragione al vescovo e che ebbero i soli effetti di esasperare la cancelleria episcopale novarese, costretta a un superlavoro burocratico, e far soffrire Monsignore illustrissimo. Si vedano in particolare, per il perodo qui preso in considerazione, le Lettere episcopali in ASDNo, V, 1, 12/24, 12/25, 12/26.
559 AONo, cart. 4, 28 luglio 1616.