Page 192 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
P. 192

“Ma...” continuava il cardinale-vescovo “...per quello che tocca a darli aiuto di persone, se lei non mi dice li particolari sogetti che desidera non so né penso darli aiuto alcuno” però, soggiungeva conciliante dopo questa bonaria, paterna ammonizione “...aspettarò che lei mi scriva particolarmente quello che vuole et desidera”. Allora sì, concludeva Sua Eminenza Taverna con una potenza retorica veramente notevole, Quagliotti poteva star certo “...che per la parte mia moverò ogni pietra perché riceva quello che desidera”556.
Il signor cardinale in persona dunque, non senza grandezza pur nelle ridondanze e artificiosità della sua prosa barocca, assicurava e rassicurava il rettore e teologo del piccolo Collegio nel Borgomanerese che per lui e il suo istituto non solo “...se le provederà del mio”, ma anche e soprattutto che avrebbe smosso “...ogni pietra perché riceva quello che desidera”.
E quanto ai “sogetti” da far giungere a S. Cristina, non mancarono raccomandazioni a Francesco da parte del presule. È il caso di quella, per diversi aspetti particolare, del prete Giovanni o meglio, forse, Iohann Huber. In una circostanziata missiva dell’estate di quell’anno il cardinale Taverna, anch’egli, come il suo predecessore, convinto assertore di una rigorosa applicazione dei dettami conciliari tridentini, stava cercando di inviare sacerdoti zelanti e ben preparati presso le più difficili e sperdute parrocchie di confine557.
Si trattava di inviare preti non soltanto validi dal punto di vista teologico, ma pronti a sopportare i rigori del freddo sulle cime innevate e spesso del tutto impraticabili per i lunghi mesi invernali e, questione non ultima anzi, ma fondamentale, capaci rispettivamente di parlare e di comprendere i dialetti Walser di ambito geo-culturale e di assonanze tedescoidi, caratteristici delle rustiche popolazioni montane della val d’Ossola e dell’alta val Sesia, specie di quelle a stretto contatto con il vicinissimo canton Vallese.
Si comprende bene, nel caso specifico, l’importanza non solo dunque della corretta diffusione della parola di Dio secondo i dettami tridentini, ma della puntuale ricezione della parola italiana e/o latina a fronte di un universo dialettale montano, astruso e incomprensibile per la gran parte dei preti novaresi. Importanza raddoppiata, non pare inutile sottolinearlo, se si considera la devianza ereticale che, per la predicazione dei pastori protestanti, era ormai ben presente e profondamente radicata nei territori di molti dei cantoni elvetici confinanti.
Si trattava di un pericolo che, come si è già avuto modo di accennare, non appariva tanto effimero o solo potenziale ma era considerato reale, incombente e reso ancor più temibile per l’esplosiva miscela dovuta da un lato all’ingenuità e alla
556 AONo, cart. 4, 26 agosto 1616, da Vogogna, forse durante una delle faticose visite pastorali del presule che, nelle cortesi formule di chiusura della missiva al nostro, lo pregava appunto “...con tutto il cuore ad havere memoria di me nelle sue orationi, accioché Dio N.S. m’assista con la sua divina gratia per farmi fare la sua volontà, et cavare frutto dalla visita, a gloria sua et salute del prossimo...”.
557 Nonostante sia riferito all’ambito geografico dei confini lombardi e non piemontesi, mi sembra egualmente utile segnalare qui le osservazioni contenute in C. di Filippo Bareggi, Le frontiere religiose della Lombardia. Il rinnovamento cattolico nella zona ‘ticinese’ e ‘retica’ fra Cinque e Seicento, Milano 1999. Nel testo l’Autrice analizza, in relazione ad un arco cronologico perfettamente coincidente con quello del Quagliotti, i medesimi problemi che ci troviamo a dover sottolineare in queste righe, specie a p. 113 ss. e p. 167 ss.



























































































   190   191   192   193   194