Page 181 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Il complesso trattato di Asti stipulato tra le parti belligeranti nel giugno dell’anno precedente, nel giro di pochi mesi era stato infine forzatamente disatteso per le esagerate pretese spagnole, soprattutto da parte del neoeletto governatore di Milano.
Don Pedro de Toledo, da poco al governo della Lombardia, cioè di uno dei territori chiave della corona ispanica in Italia, intendeva forzare la mano, umiliandolo, al duca di Savoia, a dispetto dei patti concordati poco meno di un anno prima. La guerra sarebbe ripresa violenta e sanguinosa proprio dalla primavera del 1616 a Vercelli e dintorni, a pochi chilometri da Novara.
Un caro amico del nostro, don Gaspare Vandoni, non mancava di descrivere con vivace realismo la catastrofica situazione: “...La grandissima moltitudine d’huomini et de’ soldati per la guerra tra Mantova e Savoia” portò in breve il re cattolico a “...mantenere per lungo tempo nel Novarese grandissimo essercito” proprio perché con quelle sparse e talvolta ingovernabili armate, dalla primavera del 1617 “...assediò Vercelli et l’acquistò”530. La città gaudenziana fu investita in pieno, a sua volta, dal continuo transito di contingenti spagnoli, di milizie borgognone, vallone, tedesche e napoletane531, e vessata sia per l’ardua, gravosissima imposizione
gerosolimitane e condottiero al servizio della Spagna), corte composta da otto suoi servitori, dall’aiutante di campo, dal furiere maggiore, dal cerusico, dal cappellano e dal tamburo maggiore: ASNo, Contado di Novara, 140 e 141 (risp. 1616, nn. 1 e 2). Infine, ancora una compagnia di Svizzeri (“Sguizari”) condotta dal capitano Iohann Jacob Coles: ASNo, Contado di Novara, 141 (1616, n. 2). Da informazioni desumibili dal Libro delle grazie si è inoltre in grado di affermare che a Borgomanero nel 1617 era presente anche una compagnia soldati del “sig.r Capitanio Tiri Giove, valono” (si tratta evidentemente della storpiatura di un nome straniero) e una di “corazze vallone” cui appartenevano i capitani Terilla e Beobort: cfr. AONo, cart. 5 (ma vds. anche ASNo, Comune p.a., 1319). Per questi ultimi vds. nel testo e in nota, più oltre.
530 AONo, cart. 1, Vandoni, Annotazioni sopra la vita... cit., c. 34. L’assedio di Vercelli, dopo una lenta preparazione in uomini e artiglierie progressivamente ammassati nell’ampio territorio, ebbe inizio il 24 maggio - un mese prima della morte di Francesco dunque - e termine il 25 luglio del 1617, quando il govane marchese di Caluso (Gian Domenico Doria, 3° marchese del Maro, di Cirié e, appunto, di Caluso - Torino 1594-1649), comandante della piazza, capitolò dinnanzi alla preponderanza delle truppe spagnole e imperiali.
531 Per non dire dei contingenti inviati d’urgenza, nel complicato intrico di alleanze fra potentati italici - tra solide e apparenti - dalla Toscana dei de Medici, dal conteso ducato d’Urbino, dagli ambigui Farnese, duchi di Parma e Piacenza ed ex marchesi di Novara, dalla microscopica repubblica di Lucca, apertissima alle infezioni ereticali luterane. E che dire poi delle truppe, segnatamente di fanteria e di cavalleria leggera, originarie di vari centri della Lombardia: “...Il governatore [...] ordinò alla gente già mandata a’ confini de’ Vinitiani, e alla soldatesca che si trovava nello Stato, che con celerità passasse nel Novarese, per dov’inviate le artiglierie, e le munitioni, pubblicava di volere il giorno seguente partire. [...] Quivi si trovò fra pochi giorni un fioritissimo esercito, non solo quanto al numero, e valore de’ soldati, e de’ capitani, ma fortissimo d’artiglierie, di monitioni, e di tutti gli apparati necessari. In esso erano ventimilla fanti composti di varie nationi, cioè quattro milla Spagnoli, in cinque regimenti guidati da Mastri di Campo D. Giovanni, D. Luis e D. Gonzalo de Cordova, D. Geronimo Pimentello, e D. Gio.Bravo. Novemila Lombardi in cinque regimenti guifati, l’uno, che era tutto di moschettieri, dal Prior Sforza, gli altri da Lodovico Gambaloita, Geronimo Rho, Gio.Pietro Cerbellone e Gio. Battista Pecchio, altresì Mastri di Campo. Tremilla Napolitani guidati da’ Mastri di Campo Carlo Spinelli, Carlo di Sanguine e Tomaso Caracciolo. Tredicimila Tedeschi in due regimenti, uno de’ Trentini guidato dal conte Gaudentio Madruzzi, l’altro, della Germania più bassa, sotto Luigi Soltz. Oltre seimilla Svizzeri i quali, per essere collegati col duca, dovevano rimanere nello Stato di Milano. La cavalleria, che compresi gli huomini d’arme arrivava a tremilla e ubbidiva a A. Pimentello suo generale, era per la maggior parte gente nuova, poco esercitata e perciò, benché di numero superiore, di valore ad ogni modo era molto inferiore a quella del duca”. I soldati agli ordini del duca avevano anch’esi provenienze diverse: oltre all’ambito territoriale sabaudo infatti c’erano Svizzeri (in particolare, ma certo non solo, del cantone Vallese) e Provenzali; per concludere, le truppe del contigente francese: così un celebre storico dell’epoca inquadrava i movimenti di truppe, cfr. Capriata, Della istoria cit., p. 218 ss. di un esercito di poco superiore di forze, circa ventiseimila uomini di fanteria e tremila di cavalleria riferisce invece un altro storico contemporaneo ai fatti, Fossati, Memorie historiche cit. pp. 52-53. Cifre impressionanti se si immaginano ammassate nella piccola Novara e nel Novarese di quel primo Seicento: dovevano essere la principale causa di carestia ed epidemie oltre che di morti violente (e si escludono qui i reparti gonzagheschi, certo minimi, mentre per la parte