Page 174 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Una missiva tanto garbata quanto inquietante nei toni e nel contenuto, che lascia immaginare, nell’amarezza palese e addirittura nel vergognoso “rossor” del viso crucciato del gentiluomo, il suo desiderio di aprirsi, di confessarsi esclusivamente al mite teologo del collegio montano, di affidarsi al suo tratto gentile e riservato a un tempo, e lasciarsi quasi condurre per mano nell’approccio alla fede grazie alle profonde riflessioni che la “discreta natura”, il “compatimento” e le “cordiali orationi” di Francesco gli garantivano.
A febbraio invece, Francesco dovette risolvere una fastidiosa questione sorta tra l’amico Giulio Cesare Popolo, “barbier” di Fontaneto d’Agogna, e il curato di quella località, don Francesco Martini. Un fitto scambio di lettere infatti, ci resta tra quello che, per la sua professione, doveva essere un personaggio molto noto e apprezzato (quanto forse temuto, per i dolorosissimi, piccoli ma a volte indispensabili interventi chirurgici di primo soccorso) nel villaggio non distante da S. Cristina, il rettore del Collegio e il curato di Fontaneto.
Una faccenda di poca importanza, in verità, che tuttavia nelle sue insidiose spigolosità è comunque utile rammentare in quanto sintomatica di tutta una serie di valori, di priorità, di sensibilità sociali in ambito rurale di antico regime e, ciò che più conta, perché perfettamente rappresentativa del ruolo sempre centrale e, va sottolineato, sovente scomodo di Quagliotti che, l’abbiamo potuto osservare più volte, aveva avuto modo di imparare ad affrontare e spesso ad incassare i più aspri “disgusti”.
In breve: Popolo, barbiere di Fontaneto, piccolo amministratore locale e forse lontano parente del nostro, il 29 febbraio511 scrisse a Francesco informandolo di aver chiesto licenza al proprio curato, don Martini, avendone “...hautto licentia”, per avere nella chiesa del villaggio un sacerdote che precisamente da sabato 19 marzo e per otto giorni potesse ricevere le confessioni della gente: si voleva dunque “...far venire uno confessadore per giorni 8”.
Il curato, soggiungeva Giulio Cesare Popolo riferendosi alla scelta del sacerdote più opportuno da far arrivare “à volsuto ellegerlo a suo gusto”. Il barbiere aveva personalmente avvisato di persona il prete – di cui noi non sappiamo l’identità – scelto da don Martini e anzi, spiegava, “...inanti il carnevale” e pur avendo avuto formale assicurazione circa la sua venuta a Fontaneto, nelle settimane successive non avendo avuto precisa risposta aveva provveduto a mandare “tre messi” apposta e consecutivamente. Insomma, una vera seccatura per la gente del villaggio che si aspettava una pronta e sicura risposta.
Il tanto atteso confessore però non si presentò mai all’angustiata Comunità di Fontaneto e Giulio Cesare Popolo, certo deluso e, anche se non lo diede a vedere,
affidava al nostro raccomandandosi fervidamente “...alle sue cordiali orationi con humiltà e fede”: cfr. AONo, cart. 6, 17 gennaio 1616.
511 AONo, cart. 6, 29 febbraio 1616. sul ‘verso’ della lettera di G.C. Popolo, di mano del nostro si nota un’interessante annotazione con gli da rispettare all’interno del Collegio: “Levar. 10 – orat. 10 1⁄2 - Pr. messa lev. 11 1⁄2 - letti 13 1⁄2 - studio 14 – repet. 17 – Vespro 17 1⁄2 - essame 17 3⁄4 1° segno - desin. 18 2° segno – recr. 18 1⁄2 - letanie 19 1⁄2 - studio 20 – lett.e 22 – compieta 23 visita per lattarj – matt. 24 – coll. 1 – recr. 1 1⁄2 - essame 2 1⁄2 - letto 3”. Ovviamente si tratta di calcolare l’ora a partire dall’ora del Vespro, verso le ore 18 (o poco prima) attuali: quindi l’ora della ritirata a letto – le tre – corrispondeva alle attuali ore 21.