Page 173 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Venerabile Bascapè – e disgraziatamente ad oggi introvabili507 – ciò che forse era ed è importante comprendere è la centralità dell’esempio offerto in prima persona dall’“eccellentissimo” teologo di S. Cristina.
Per affrontare e capire la storia successiva degli Oblati dei ss. Gaudenzio e Carlo almeno fino ai primi dell’Ottocento e, tra luci e ombre, anche oltre, è fondamentale, per chiunque si avvicini con intelligente curiosità alle vicissitudini della diocesi gaudenziana e a quelle della spiritualità oblatizia, ricostruire e decifrare la vita stessa di Francesco Quagliotti. Da lui e solo da lui nacquero gli Oblati, dalla sua vita, dalla sua spiritualità, e non soltanto dal contesto storico in cui visse, dalla cultura multiforme grazie alla quale si formò e crebbe, e dalle eccezionali personalità con cui ebbe amichevoli, devoti rapporti e scambi di idee.
Quei contatti con monsignor Bascapè prima e con Sua Eminenza Taverna poi, quei “desegni” che paventava sfumassero, quel “gran bene” che pensava di fare e di cui ardentemente “trattava” con i suoi amati presuli508, lo avrebbero visto ‘primo’ fra gli Oblati di quella Congregazione che, ancora non sorta, sarebbe nata grazie alla sua vigorosa spinta. Era, quindi, l’anno degli Oblati509.
La vita intanto, nonostante le segrete ansie del nostro, scorreva relativamente tranquilla a S. Cristina, in una quotidianità fatta come sempre di tanti piccoli e grandi problemi da risolvere, da superare. A gennaio l’impegnato rettore aveva infatti dovuto rispondere a un’elegante e misteriosa lettera di Giovanni Battista Visconti510.
507 A questo scopo le ricerche sono state estese, oltre ovviamente all’Archivio dei RR. PP. Oblati, all’Archivio storico diocesano e all’Archivio di Stato di Novara, anche all’ASBR presso il quale, secondo quanto comunicato dal suo direttore, padre Luigi Giovanni Cagni, nella pur cospicua mole di carte bascapeiane non pare vi siano tracce di tali normative.
508 Sono noti e innegabili i suoi eccellenti rapporti con i vescovi di Novara, da lui amati e da loro, per contro, assai ben voluto: “I Vescovi Don Carlo Bascapè e Monsig.r Ill.mo e Rev.mo s.r Card. Taverna, huomini e l’uno e l’altro in tal governo di grandissimo valore, facevano grandissimo conto et stima del valore di questo s.r Teologo Quagliotti, posciaché non gli sapeano negar cosa ch’egli dimandasse”: AONo, cart. 1, Vandoni, Annotazioni sopra la vita... cit., c. 33.
509 Ancorché, se ne riparlerà più avanti e ampiamente, nel testo e nelle note, la loro fondazione ufficiale sia da riferire a tempi successivi e dunque Quagliotti sia da considerare il loro ‘fondatore postumo’, secondo la felice espressione impiegata da uno storico e socio-antropologo anglosassone in riferimento all’erezione ufficiale della Congregazione dell’Oratorio, sorta dopo la morte di Filippo Neri, che l’aveva tanto e così ben teorizzata: cfr. P. Burke, Scene di vita quotidiana nell’Italia moderna, Roma-Bari 1988 (ed. orig. Cambridge U.P., 1987), p. 73.
510 Patrizio milanese del ramo dei Visconti di San Vito, consignore di Somma Lombardo. Sposò Ippolita Barbiano di Belgioioso, contessa del S.R.I. Sua figlia Paola (+ 1623) fu una pia monaca nel monastero delle Clarisse di S. Prassede, in Porta Tosa, a Milano, dove ora sorge il Palazzo di Giustizia. Il gentiluomo, in una bella e regolare grafia, si umiliava dinnanzi al nostro: si era infatti dimostrato consapevole di essere “...con molti negligenze e pigro in qualsivoglia attione”. Per questo, continuava il patrizio, “...quanto rossor mi debba recare, già tutti ben lo sanno et io massime”; e d’altra parte, proprio queste debolezze di carattere gli erano state fatte discretamente rilevare e tempo debito proprio dal nostro che, soggiungeva il nobiluomo “...per la sua discreta natura saprà compatire a giovanil temerità”. Non mancava, Giovanni Battista, di riconoscersi anche “sonnaglioso ne miei affari, ma con lei non sonnaglioso ma dirò morto”; di “...quegli errori però” proseguiva “...mi dolgo; per questo piango: per curar quelli si cura la natura coprirmi il volto; per questo mi mette quasi disperato in fuga [...] Ahi, che troppo la pigritia mi è statta cara e mi si è addossata”. Le drammatiche autocritiche del consignore di Somma s’intrecciavano alla constatazione del valore di Francesco “...nell’escusar il mio essorbitante fallo, già che la fresca età n’ha forsi qualche colpa”; per fortuna egli sentiva “...la forza del maturo suo compatimento” e sarebbe apparso “prestissimo” un evidente “segno in emendatione”. Quagliotti, semplice prete e allora oscuro teologo – che peraltro il Visconti indicava sorprendentemente, in un’epoca nella quale i titoli e gli onori personali erano molto importanti, per non dire fondamentali, con l’appellativo assai onorifico di “benignissimo mio signore”- era certo a conoscenza di qualche “colpa”, di qualche preoccupante “fallo essorbitante” che riservatezza impose di non indicare mai nell’epistolario. Giovanni Battista, per concludere, si