Page 172 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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gran vigna del Novarese, tengo per certo che si farà gran bene perché ‘Messis multa’ ma ‘operarii pauci’, fra’ quali il più inutile son io. Francesco Quagliotti”504.
Sono molte le consonanze di rilevo tra i due scritti. Soprattutto il tono esortativo, pieno di supplice speranza; la prospettiva di un “gran bene”; l’intesa quasi raggiunta con monsignor Bascapè; la richiesta di visita e di aiuto; persino la firma – che nel febbraio era accompagnata dalla locuzione “servo inutile” è, in quest’ultimo documento, molto simile e, abbiamo detto, sicuramente vicinissimo anche cronologicamente: “...‘Messis multa’ ma ‘operarii pauci’, fra’ quali il più inutile son io”505.
Una prospettiva dunque impegnativa e luminosa per Quagliotti, promettente e non priva di responsabilità per il neoeletto vescovo di Novara cui il rettore di S. Cristina si affidava trepidante per giungere al sospirato compimento dei suoi disegni. Era, questo 1616 appena iniziato, l’anno fatidico che avrebbe finalmente visto se non la nascita almeno la chiara intenzione, nero su bianco, di far sorgere la Congregatione Oblatorum.
Per tutta la sua esistenza – fin allora, nel suo donarsi completamente alla Chiesa, nel votarsi all’obbedienza totale al vescovo, nel dedicarsi alla capillare diffusione della dottrina cristiana, alla meticolosa, amorevole formazione del giovane clero diocesano, nella missionarietà apostolica caratterizzata soprattutto dall’assidua, fervida predicazione itinerante, di villaggio in villaggio, a contatto con la gente506 - Quagliotti si era sempre comportato come avrebbe desiderato che vivessero gli Oblati.
Si è persino tentati di definire la sua vita come una metafora, anzi, meglio: come uno specchio rivelatore non solo delle molteplici, umane sfaccettature del nostro, cioè del “Primo Oblato” ma anche, forse, di quelle che per secoli sarebbero state le peculiarità spirituali e operative dell’intera congregazione oblatizia novarese. Al di là dell’irrisolto problema delle Regole primitive della Congregazione, per mesi certamente discusse e probabilmente infine entusiasticamente approvate dal
504 Il documento è stato visionato solo in fotocopia poiché, anche in questo caso, l’originale è attualmente introvabile. Ringrazio il rev.do canonico prof. don Mario Perotti, dell’Archivio storico diocesano, per la cortese segnalazione; secondo la sua esperienza tra l’altro, il minuscolo foglietto potrebbe essere (o essere stato) conservato per secoli in uno dei grossi volumi di visite pastorali relative a S. Cristina. Più controlli – tra i tomi di visite fra le cronologicamente più vicine all’epoca del Quagliotti – quelle cioè di mons. Volpi, Tornielli e Odescalchi – (ma è stato controllato anche l’incartamento concernente la visita settecentesca del cardinale Balbis Bertone) - non hanno tuttavia ad oggi portato, purtroppo, al suo reperimento.
505 Con la consueta umiltà ma certo nella consapevolezza del proprio valore e dei traguardi raggiunti, Quagliotti si firmava ‘servo’ od ‘operaio’ “inutile” seguendo, in questo, i dettami di uno schema letterario generale ed epistolare in particolare, che la retorica classica e medioevale aveva da secoli sancito e che era conosciuta, sia pure con le ulteriori ridondanze barocche, quale “captatio benevolentiae”: cfr., nella messe di studi al riguardo, almeno il ponderoso trattato di J.J. Murphy, La retorica nel Medioevo. Una storia delle teorie retoriche da s. Agostino al Rinascimento, Napoli 1983 (ed. orig. Berkeley and Los Angeles, California, 1974), pp. 236, 252-255, 258, 267-268 e passim.
506 E ovunque si recasse, avverte l’amico Torelli, “...usava diligenza particolare [...] d’intendere se vi fossero infermi, quali visitava con molta charità, esortandoli alla patienza nell’infermità et aggiuttandoli spiritualmente et nei bisogni corporali ancora”. Insomma, oltre a predicare “...procurava sempre di fare qualche servitù alli infermi che visitava”. Di questa pratica incaricava spesso i suoi estemporanei collaboratori, come rileva proprio Girolamo Torelli: “...il che raccomandò a me dicendomi dovessi sempre procurare di servire ogn’uno d’essi” tra poveri e infermi locali. Cfr. AONo, cart. 4, Torelli, Memoriale.