Page 170 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Con ragione si è pensato501 si tratti della risposta del nostro alla bella, intensa missiva del vescovo datata 23 gennaio: “Ill.mo et Rev.mo Mons.re. Ringratio V.S. Ill.ma della memoria che tiene di questo povero Collegio di S. Cristina; et spero nel Signore che degnandosi una volta il proprio pastore di vedere in propria persona il gran bene che qui si può fare per il clero et per tutta la diocese, si allargarà a me il campo di lavorare tanto più nel servigio diDio, senza sperarne alcuna remuneratione da altro che dal Signore giaché la sua divina volontà si è compiaciuta, col consiglio di Monsignor Septala et del Padre Claudio Acquaviva, farmi habitare in questa solitudine per attendere all’opera pia che ho per le mani quale, se bene per l’adietro non sapevo qual fine fosse per sortire mercè alle nostre difficoltà che alla giornata mi nascevano, tuttavia adesso mi rendo certissimo che sotto il favore di V.S. Ill.ma sia per riuscire a quel buon fine che pensavo incaminarla, se la longa infirmità e poi la morte della felice memoria di Mons.r Don Carlo mio signore non havesse in gran parte rotto li desegni che già con esso Monsignore trattavo in fine di sua vitta. Piaccia al Signore che sia fatto degno di vedere V.S. Ill.ma questo suo umile servitore con viva voce, et acciò la sua venuta sia felice ogni giorno si fa nel nostro Collegio particular oratione da sacerdoti et chierici quali tutti, in mia compagnia, prostrati in terra per la santa beneditione le facciamo al fine riverentia. Dal Collegio di S. Cristina, li 6 febraro 1616. ...Servo inutile...”502.
Di questa bella lettera sono da rimarcare alcuni punti: anzitutto, rileggendola dall’inizio, la più che positiva constatazione e lo speranzoso auspicio riguardo al “gran bene che qui si può fare per il clero et per tutta la diocese”: un bilancio tutto sommato attivo dunque, per un Quagliotti da mesi, da anni disturbato dai dispiaceri, dalle “difficoltà che alla giornata mi nascevano”, insomma da quei “disgusti” sorti in special modo – e non poche volte – proprio con i vicini colleghi di Borgomanero.
Di notevole rilievo anche il riferimento, fin allora dissimulato o appena accennato ma con grande cautela e massima riservatezza, al fatto che la sua permanenza in S. Cristina fosse dovuta non alla “divina volontà” ma anche e forse soprattutto al paterno, duplice “...consiglio di Monsignor Septala et del Padre Claudio Acquaviva”: due personaggi a noi ormai ben noti – il primo, milanese, vicario episcopale a Novara, generale dei Gesuiti a Roma il secondo – che, in momenti, luoghi e con valenze differenti, ebbero un ruolo certamente fondamentale nelle decisioni del giovane Quagliotti ancora incerto, anni prima, sul suo destino in religione.
Un altro punto, assai suggestivo, che ha fatto letteralmente volare – e non a torto – la fantasia dei biografi del nostro dal Sette al Novecento è quello ai “desegni” che nella malinconica quanto ascetica “solitudine” di S. Cristina il rettore e teologo aveva lentamente maturato, e che solo la repentina, prematura “morte della felice memoria di Mons.r Don Carlo mio signore” aveva alla fine “in gran parte rotto”.
È stato infatti naturale, per tutti coloro che si sono cimentati e tutt’ora si confrontano con la figura del fondatore degli Oblati dei ss. Gaudenzio e Carlo,
501 Giovando, Il Servo di Dio Francesco Quagliotti cit., pp. 188-189.
502 Cfr. AONo, cart. 4, in fotocopia (e riferibile alla cart. 2). L’originale è ora purtroppo irreperibile.