Page 162 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Con quell’atto, Francesco “...sanus mente usque intellectu et in bona memoria” e memore di quanto “...semper habendo Sacra Scriptura dictum: ‘Estote parati quia nescite diem nequem horam obitum” lasciava sì il poco che aveva allo zio, quel don Domenico che nella natìa Galliate l’aveva avviato al sacerdozio, e qualche mobile e gli amati libri all’ormai familiare Collegio di S. Cristina, ma soprattutto “...in primis et ante omnia, anima sua altissimo Domino Nostro Iesu Xpo, et eius gloriosissima Matri, semper virgini Mariae, s.to Francisco ac toti curiae coelesti commendavit”.
Dal Libro delle messe, per molti aspetti una fonte tra le principali per conoscere con precisione, nella loro metodica registrazione, gli spostamenti pressoché quotidiani del nostro, è desumibile il momento della partenza da S. Cristina. Dopo una fervida lode al Signore, a Maria ss.ma, ai santi primi vescovi novaresi Gaudenzio e Agabio “...necnon” a s. Cristina, a s. Antonina e a un beato Francesco che è sottinteso sia d’Assisi, vi si precisa che proprio nella mattinata del 4 ottobre (appunto s. Francesco) del 1615, dopo la recita del Rosario e la celebrazione della prima messa, il rettore e teologo del Collegio si pose in viaggio487.
Il 5 ottobre giungeva a “Paragnano”, il cui toponimo – al posto dello sperduto villaggio nella verdissima pianura irrigua – oggi corrisponde a una semplice cascina, una frazione di Robecchetto con Induno, in provincia di Milano, dove però Francesco non mancò di celebrare una messa per i propri benefattori. Il 6 era a Milano e subito si recò a dir messa nella chiesa di S. Maria di Brera con un intento più che mai appropriato: “...pro itinere peregrinationis”.
Qualcuno ha voluto leggere, in questa speranzosa ma malinconica intenzione di Quagliotti, una nota stonata, una sorta di premonizione non solo sul suo stato di salute, da sempre delicato, ma anche sulla sorte del suo amato vescovo, monsignor Bascapè che, proprio quel giorno, lasciava questo mondo488. Non è possibile stabilire con certezza cosa abbia effettivamente ‘provato’ l’ombroso teologo; certo è che, forse per il cambiamento d’aria nell’ormai fredda più che fresca stagione, o forse per la stanchezza e i disagi del viaggio, che è possibile supporre si sia effettuato in parte su cavalcatura e in parte a piedi, il 7 Francesco era già “aegrotus”.
Probabilmente si trattò di un malessere passeggero se il giorno successivo, come si legge puntualmente in una grafia ancora sicura e ben decifrabile, la successiva tappa raggiunta fu Piacenza, un territorio ormai in giurisdizione farnesiana. Una permanenza sicuramente non priva di incognite se Quagliotti riporta, alla data del 9, che si trovava ancora a Piacenza ma che era “hora tarda”: una precisazione abbastanza insolita, questa, nello scarno stile del nostro, che solitamente non lascia molto spazio a indicazioni diverse da qaunto occorra ai fini devozionali o liturgici. Il 10 ottobre raggiungeva la capitale del ducato farnesiano, sotto il controllo
487 Oltre alla figura dell’angelo custode e a quella, amatissima, della Beata Vergine, tra i santi cui Francesco era particolarmente devoto vanno ricordati appunto s. Francesco d’Assisi, di cui portava il nome, s. Carlo Borromeo, il santo per eccellenza nel periodo postridentino e il fondatore della Congregazione oblatizia attiva nell’arcidiocesi milanese, s. Ignazio di Loyola, fondatore degli ammiratissimi RR.PP.Gesuiti, s. Gaudenzio e s. Agabio, primi vescovi e santi novaresi e s. Cristina, titolare della chiesa del collegio.
488 Giovando, Il Servo di Dio Francesco Quagliotti cit., pp. 179-180.




























































































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