Page 160 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Non mancarono tuttavia impegni a tavolino: a giugno ricevette una lettera di monsignor Dolci, rettore del Seminario novarese, che lo avvertiva del fatto che il vescovo desiderava quanto prima ragguagli puntuali sullo stato dei lavori al cantiere di S. Cristina e che, inoltre, chiedeva venisse in Curia episcopale per trattare riguardo ai particolari del lascito testamentario di don Cattaneo.
A luglio480 invece, per rispondere alle lettere di Carlo Visconti481, gentiluomo al seguito del principe di Masserano482, marchese di Crevacuore483, dovette occuparsi
quanto accoratamente gli si rivolgeva Francesco gli disse sottovoce accennando forse col capo alla massa di fedeli incuranti della loro presenza e tutti presi ad ascoltare il curato locale: “...Se V.S. vuol dire quattro parole la farò fermare”. Quagliotti, fiducioso nelle diplomatiche capacità persuasive dell’amico, entusiasta si ritirò subito in sacrestia per preparare un breve, fervido sermoncino mentre Torelli, una volta finita la messa e avvertendo il curato, fece trattenere il popolo in chiesa. Forse vi fu qualche brusio di sorpresa quando, all’insaputa di tutto l’uditorio, il teologo Quagliotti “ascese al pulpito ove predicò con sì bel modo sopra il Vangelo della feria, accomodandolo al bisogno del popolo”. Torelli, a sua volta meravigliato per le calibrate, opportune, infiammate parole del nostro e attonito per il silenzioso ascolto di quelle donne e di quegli uomini della montagna ossolana, concludeva considerando come si dovesse già allora riconoscere “come la scienza sua” – di Francesco – “fosse più tosto divina che humana”: AONo, cart. 4, Torelli, Memoriale. Si riconosce, in questo episodio, la verità delle parole dell’amico don Rasario quando, elogiando l’appassionata missionarietà del nostro, osservava che veramente “...Non haveva altro studio che di giovare alle anime” riconoscendo tra l’altro che proprio per questo, per “predicare la parola d’Iddio” aveva “patito molte persecutioni et affronti”: AONo, cart. 4, Rasario, Frammenti.
477 A Fontaneto d’Agogna e a Maggiate, con espresso mandato di monsignor Leonardi, Francesco era stato deputato e autorizzato non solo a predicare ma anche a confessare: cfr. l’apposita missiva in AONo, cart. 3, 13 giugno 1615.
478 Dei rapporti con il parroco di Briga, don Bartolomeo Marucco, ci restano tracce in alcune lettere dell’estate 1612. Del resto, Quagliotti si sarebbe recato anche in veste ufficiale di ‘prosecretarius’ del vescovo in questa località, a fianco del cardinale Taverna nel 1617. Se ne riferirà a suo tempo.
479 AONo, cart. 3, 21 agosto 1615: lettera del curato di Borgoticino al nostro.
480 Proprio allora Quagliotti ricevette una breve rassicurazione da monsignor Leonardi, il vicario generale, riguardo al permesso conesso all’ex chierico Solari – da poco sacerdote - di trattenersi in S. Cristina per dire la sua prima messa: AONo, cart. 3, 23 luglio 1615.
481 Carlo Visconti, patrizio milanese e gentiluomo della piccola corte del principe di Masserano, era consignore di Albizzate ed era sposato, dal 1604, con Maria Camilla Rossi di S. Secondo. Morì, probabilmente di peste, nel 1630.
482 Francesco Filiberto Ferrero Fieschi, I principe di Masserano, III marchese di Crevacuore (1576-1629) era vassallo di tre signori: dell’imperatore per la contea di Langosco; della moarchia spagnola per i feudi di Casalvolone, Villata e Ponzano; del duca di Savoia per le signorie di Candelo, Gaglianico, Benna, Roasio, Zemaglia, Serravalle, Bornate, Beatino, Sandigliano, Vintebbio e Lozzolo. Nel 1609 sposò Françoise de Grillet da cui nel 1608 ebbe Paolo, II principe di Masserano. Sulla casata dei principi di Masserano e marchesi di Crevacuore, casato – si dirà – dalle alterne fortune, si possono vedere sia l’ancora utilissimo lavoro di L. Borello, Le difese di Francesco Filiberto Ferrero-Fieschi principe di Masserano, in “Bollettino storico per la provincia di Novara”, XXXI (1937), pp. 408-428, sia la monografia di V. Barale, Il principato di Masserano e il marchesato di Crevacuore, Biella 1966, sia infine le succinte e più recenti considerazioni contenute in G. Dell’Oro, L’abate conte Giovanni Ercole Gromo tra il Piemonte sabaudo e la Roma tardo barocca (1645-1706), Milano 2001, pp. 13-20, in partic. p. 17-19 (si segnalano in special modo le osservazioni del Borello e di Dell’Oro, grazie alle quali si comprendono bene fortune e sfortune del principe, non amato per la sua arroganza e più volte condannato – va detto - per l’incontrollata violenza verso i suoi sudditi).
483 Un dominio e dei predicati nobiliari, i suoi, che per l’articolata obbedienza feudale cui doveva teoricamente rispondere non mancarono di complicargli (e rovinargli) l’esistenza nei confusi, delicatissimi frangenti politici e bellici di quei primi decenni del Seicento. Della decadenza del principe e con un riferimento al collegio degli Oblati di S. Cristina tratta una curiosa lettera di monsignor Giovan Pietro Volpi, allora giovane e ambizioso prelato, indirizzata allo zio Ulpiano Volpi, vescovo di Novara: “...Il principe di Masserano, che si trova decaduto in stato di povertà e molta miseria mi ha fatto già instanza di far admettere un suo figlio nel Collegio di S.ta Christina, membro di questo Seminario” ma la situazione, certo un po’ delicata, non dovette essere facile da affrontare per il giovane e rampante ecclesiastico, che così si rivolse allo zio. Sarebbe insomma stato auspicabile trattare la faccenda affinché il figlio del principe, “... questo giovine, non facci tal risolutione” ben sapendo che era persona “...poco incline di studiare”. “Io...” proseguì monsignor Giovan Pietro “...ho destramente trattenuto sin qui il sudetto sig.r Principe per non far cosa che ecceda la mia autorità” ma, concludeva non senza inquietudine il vicario novarese, sarebbe stato meglio se il vescovo, con le sue aderenze romane, fosse riuscito ad “...ottenermi la facoltà di sadisfarlo e servirlo, come la supplico”: il documento è conservato presso l’ASCo, Archivio Storico Civico, Famiglia Volpi, copialettere, busta 45 (che si indicherà da qui innanzi semplicemente come ASCo, busta 45) – un fondo archivistico (con cc. n. nn.) della massima importanza per la storia di Novara e della sua diocesi, del quale si dirà meglio più oltre – lettera del 14