Page 159 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Novara470, Veruno, Isola S. Giulio, Soriso, Bogogno471, Castelletto Ticino, Oleggio, Gozzano, ancora Paruzzaro, Romentino472.
Persino negli afosi mesi estivi, tra luglio e agosto, lo vediamo su tortuosi tracciati di campagna arrancare sotto il sole e tra la polvere per raggiungere, come si era prefisso, Arona, Pallanza473, Gattico474, ancora Fontaneto e Conturbia475, di nuovo l’Isola S. Giulio476, Maggiate477, Briga478, Cressa, Omegna, Galliate, Veruno, nuovamente a Castelletto Ticino, a Borgoticino479.
470 A Novara – passando per Momo, come si vede, per celebrare messa presso il locale monastero femminile – il 18 giugno 1615 Francesco si era recato a celebrare in parallelo alla sua partecipazione al terzo sinodo diocesano indetto da monsignor Bascapè. Un sinodo particolarmente toccante, questo, e l’ultimo del suo episcopato. Durante la solenne celebrazione, il presule – gravemente infermo - aveva approfittato dell’occasione per rivolgere un ultimo, commosso, pio saluto a tutto il clero diocesano: mancavano pochi mesi alla sua morte. Il giorno dopo, il 19, Francesco – che si sarebbe fermato a Novara fino al 23 - si era ammalato: “haegrotavi”. Proprio in quella seconda metà di giugno Bascapè, come non manca di ricordare il fido notaio Torelli nelle sue memorie sul Quagliotti: AONo, cart. 4 “...haveva assegnata una pensione sopra la cura di Vespolate, conferita allhora al R.do Prete francesco Orighoni”; il presule, racconta Torelli, gli aveva detto “...finalmente et con vista lieta et ridente” che “gli voglio...” – al Quagliotti cioè “...dar da vivere: gl’ho assegnato una pensione”. Ciononostante, aggiunge subito dopo l’amico notaio, Francesco (che il 24 giugno era a Romentino, il 25 e il 26 invece a Novara, a celebrare rispettivamente in S. Gaudenzio e in S. Marco) disse subito che “...lui non la voleva” ma che “...l’accettò tuttavia, per comandamento del Superiore, et dopo alcuni giorni disse a me che voleva esinguere la pensione col detto R.do Curato, per spendere il denaro nella fabrica del Colleggio di S.ta Christina”, come già aveva fatto con l’altro canonicato che tempo prima gli era stato momentaneamente assegnato, quello di S. Giulio d’Orta. Si veda la lettera di Francesco al vescovo, con la richiesta di estinzione della pensione in AONo, cart. 2, 20 settembre 1615. Inoltre, in una sua lettera a Bartolomeo Zucchinetti, segretario e notaio della curia episcopale novarese, Quagliotti rammentava di non volere la cura di Vespolate, né una pensione: “...poco me ne curo, attesoché quanto meno ne ho” – di soldi – “...tanto meno havrò che fare in render conto al Sig.re”: AONo, cart. 2, 26 aprile 1616.
471 Già ad aprile il 29 aprile don Cristoforo Canziano, curato di Bogogno, aveva interpellato francesco a proposito di un penitente da inviargli per una confessione generale: AONo, cart. 3.
472 Proprio da una sua lettera al vicario generale mons. Tornielli, comprendiamo bene l’ansia, l’ardore missionario del Francesco predicatore della prola di Dio: “...La fretta che ho di andare a Romentino a predicare non mi dà tempo di riverenze [...] .S. me lo perdona et compatisca”: AONo, cart. 2, 28 dicembre 1615.
473 Della sosta a Pallanza sappiamo qualcosa anche grazie a una lettera di don Giovanni Alberganti, prevosto di Omegna, al nostro: “...Fecci però assai bene a partirmi per tempo da Pallanza lunedì prossimo” – da intendersi come “prossimo passato” cioè il lunedì appena trascorso – “...anchorché mi fusse di grandissimo rincrescimento abandonare V.S. Molto Reverenda, qual amo come me stesso et osservo come devotissimo figliuolo, per che quivi aspettavano la mia messa, et fu assai per tempo, tra le 12 et 13 hore, siché la pregho a volermi escusare et commandarmi liberamente dove la posso servire in queste parti, che mi sarà singularissimo favore”. La lettera in questione, per altre questioni a noi già nota, è indirizzata non senza una certa pompa al “Molto Magnifico et Molto Reverendo mio signor in Chisto Padre colendissimo, il signor Prette Francesco Quagliotti Theologo eccellentissimo a S.ta Christina”: cfr. AONo, cart. 2, 15 luglio 1615.
474 Il piovano di Gattico aveva espressamente invitato Quagliotti a predicare e a confessare i fedeli già dal mese di giugno: cfr. AONo, cart. 3, lettera del 14 giugno 1615.
475 Sempre il curato di Conturbia inviava apposito invito a Francesco perché si recasse da lui a predicare per il giorno di s. Margherita: AONo, cart. 3, 16 luglio 1615. Alcuni mesi prima, sul ‘verso’ di un lettera di don Negri, Quagliotti aveva preso qualche rapido appunto da comunicargli, in una sorta di riposta in calce o di minuta e ssmpre riguardo a letture spirituali utili per l’attività di un curato di campagna: “Molto R.do s.r mio Oss.mo, La carta può V.S. trattenerla. Circa il libro per l’oratione mentale potrà V.S. comperar quanto vi è breve: Granata, Guida de peccatori; Gio. Gerson [...]” (seguono altre due indicazioni di autori e titoli purtroppo illeggibili): AONo, cart. 2, 18 dicembre 1614.
476 Tra primavera ed estate di quest’anno pare sia collocabile, proprio a S. Giulio, un episodio che, se mai ancora occorresse, chiarisce perfettamente la sensibilità spirituale e lo scrupolo religioso e pastorale del nostro, oltre che la sua estrema abilità di predicatore e teologo postridentino. Probabilmente chiamato a predicare all’Isola dall’amico castellano Girolamo Torelli, Francesco vi si era recato subito e volentieri. Terminato il proprio ufficio, il rettore – racconta Torelli - era ormai “...di partenza per il Colleggio di S. Christina” quando, “passando per la chiesa nella quale il popolo sentiva la messa dal proprio curato” gli venne la curiosità, forse sentendo bisbigliare in particolare dialetto i fedeli, di sapere “che gente fossero”. Proprio Torelli, presente al fatto e prossimo alla persona del nostro, gli rispose senza esitazioni “che erano della Valle d’Ossola”. Stupito e subito interessato, il teologo di S. Cristina “...subbito disse a me: “Almeno l’havessi saputo, ch’avrei detto quattro parole a questa gente, che per essere vicina al paese d’heretici, Dio sa quanto di rado sentano la parola di Dio””. L’amico castellano, osservando con quanta pena e