Page 153 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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contesto. Tra l’altro, dissertava il Quagliotti casista, non andava dimenticato che mentre il “...magus est etiam haereticus si credat pertinacia daemones esse aliquo honore dignus vel posse aliquid facere sine permissione Dei”, dall’inquietante contesto doveva essere invece stralciata la temibile accusa di eresia qualora la magia non avesse avuto l’aggravante di essere stata compiuta con “intellectum”.
Pare qui d’intendere che, dunque, vi fosse una minor gravità quando la magia fosse stata fatta, per dir così, meccanicamente, senza cioè pensare concretamente a una reale, effettiva potenza demoniaca della magia nei confronti della religione cattolica. Una distinzione forse un po’ sottile ma certo utile se si pensa che in questo modo si sarebbero potuti sottrarre in molti all’azione repressiva inquisitoriale.
Un’azione che, se pure non così drastica come schiere di romanzieri e di registi cinematografici avrebbero voluto far credere ai più ingenui, in ogni caso comportava l’apertura di un’indagine nei confronti di uno o più soggetti e, inutile sottolinearlo, quest’indagine avrebbe comportato una serie di disagi e di ripercussioni in ambito giudiziario, amministrativo, economico e sociale tale da spaventare chiunque, di qualsiasi rango o cultura.
Dopo le spiegazioni sulla divinatione e le varianti del sortilegium, ecco affrontato il complesso tema, a quel tempo soprattutto, del maleficio e delle streghe. Dai teologi di quel tempo il maleficio era “...ars nocendi aliis, potestate daemonis”. Una tra le principali differenze tra il maleficio e la magia, sottolineava tuttavia e immediatamente dopo Quagliotti, era quella secondo la quale, mediante il primo artificio, era posto in essere con la volontà, essenzialmente, di nuocere al prossimo mentre – più generalmente – con le arti magiche si intendeva in genere stupire operando mirabilia.
Nuocere e stupire, incantare dunque. Il tema del ‘meraviglioso’ è, d’altra parte e sia pure con ben altri intenti, un tema tipicamente barocco: persino Giambattista Marino – tra i massimi rappresentanti della poesia del primo Seicento europeo – l’aveva fatto suo, e programmaticamente, affermando che compito, fine del poeta era l’arzigogolo, il ghiribizzo, insomma la vuota, stupefacente, pericolosa “...maraviglia”. E che dire delle strabilianti novità, degli incredibili ‘voli’ dell’architettura tra controriforma e barocco?
Indubbiamente ci si trova, qui, su un piano decisamente diverso, dove è possibile ravvisare una parziale rilettura se non un totale distacco dai fondamenti della fede cristiana cattolica, per tornare a divinazioni, incantamenti, sortilegi e malefici già tipici di un paganesimo che si credeva ormai, allora come oggi, praticamente scomparso e che invece sopravviveva semisommerso e, ciò che più preoccupava, occultamente seguito da molte, troppe persone. Più di quanti si potesse immaginare e, dato preoccupante, non solo da villici e strati sociali inferiori, bensì da uomini e donne di rango e cultura talvolta superiori.
E quali erano i maleficia più comuni, quelli in cui perfino lo schivo, prudente rettore di S. Cristina si sarebbe infine imbattuto, come vedremo fra breve? In una delle aule del Collegio sulle colline borgomaneresi, il teologo Quagliotti lo spiegava chiaramente ai suoi allievi: “...duplex est maleficium: amatorium et veneficium”.




























































































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