Page 152 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Si tratta comunque, è bene ribadirlo, di semplici sensazioni, di mere congetture insomma, cui non si può e non si deve concedere che limitato spazio e che tuttavia è parso opportuno almeno segnalare per cercare di cogliere e ad un tempo suggerire, nel testo e tra le righe, un ulteriore elemento di valutazione della complessa personalità e della figura di un prete d’inizio Seicento.
Il primo argomento, la Blasphemia o, in altre parole, la “maledicentia contra Deum” può, a giudizio del nostro, esplicarsi in un peccato con due modalità esecutive: è infatti possibile, continua il docente, che sia da considerarsi esclusivamente interiore cioè, sia pure per e con ogni evidenza “ex mala voluntas”, silenziosamente, “solo corde” o anche, se con parole e/o gesti, tutto esteriore. Sia la blasfemia interiore infine, sia quella esteriore – e stupisce un poco che questa sia l’unica, brusca riflessione finale – possono avere caratteristiche comuni: possono infatti riflettere atteggiamenti (mentali, dunque, ma anche verbali, gestuali) riferibili a precise enunciazioni, detestazioni, irrisioni.
Dell’empietas si dice solo che “opponitur honori quem debemus Deo” e che non solo si complica se il riferimento pratico è alle “reliquias” ma che si aggrava fortemente “...si error intellectus accedat”: in quest’ultimo caso, con il dolo del concorso mentale, del pensiero, il peccato commesso “est etiam haeresis”.
Della superstitio Quagliotti spiega subito che si tratta di un peccato contro la religione che assomma in sé tre caratteristiche assai negative: è, senza mezzi termini, da riconoscere quale gravemente “...falsus, pernitiosius, superfluus”. Anche per l’idoloatria o idololatria la massima brevità: si può procedere qualora accada che interiormente o esteriormente “non [est] Deus” ma altro che si loda, si invoca, si serve o a cui si attribuisca un culto.
Più complesso il caso della magia, che per il teologo galliatese “...est potestas inordinata faciendo quod est supra naturam” distinguendo però il caso che si tratti di qualcosa che potrebbe essere sì definito quale soprannaturale ma grazie a un intervento, a un “auxilium” divino: in quel caso, precisa il teologo, si potrebbe verificare l’ineffabile caso che più comunemente “dicitur miraculum”.
Inoltre, secondo il modo di intendere di quei tempi, con la magia ci si trova dinnanzi a uno scellerato “pact[um] cum demone”: si impone pertanto, per chi debba giudicarne la gravità, conoscere taluni non irrilevanti peculiarità dell’atto magico, ad esempio quali siano le modalità con cui si invoca l’entità diabolica.
È altresì importante, suggerisce Quagliotti, distinguere bene le eventuali varietà e i fini delle operazioni magico-stregoniche, valutazioni quindi determinanti e assai utili per comprendere se ci si trovi di fronte a una “divinatione” piuttosto che a un “maleficio”452. Sarebbe stato più che mai opportuno poi, per il confessore o il ministro di Dio chiamato ad intervenire in simili casi, avere un quadro preciso delle “mirabiliae” operate dal mago, sapere se e come sia stato aiutato da demoni, in quale
452 Entrambi i casi sono da Quagliotti affrontati – e se ne parlerà in questa sede tra breve – nelle pagine successive del suo Compendium. D’altra parte, proprio Francesco nell’autunno del 1616 sarebbe stato inviato dal Cardinale Ferdinando Taverna, succeduto al Bascapè quale vescovo di Novara, in una riservata quanto delicata missione presso due gentildonne lombarde sue parenti con l’ingrato compito di individuare e debellare il probabile “maleficio” di cui era succube una delle due nobili residente nell’imponente e ancora visitabile castello di Somma Lombardo.



























































































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