Page 148 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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insoliti ma rappresentavano, in qualche caso, un particolare moto dell’animo per quanto riguardava il proprio status sociale.
Sono diversi, per esempio, i contributi di studiosi delle più varie nazionalità riguardo ai casi di chi, nel Mezzogiorno della Penisola, aveva preferito – tra Cinque e Seicento – rinnegare (è questo il termine più appropriato che anche la documentazione conserva) la fede cattolica. Si trattava in genere di soggetti di sesso maschile di ogni ceto ed età presi prigionieri in occasione delle innumerevoli incursioni piratesche sulle spiagge e nell’entroterra non solo del nostro meridione ma anche alle marine di regioni del centro-nord Italia, ad esempio sulle coste della Toscana, della Liguria, della Romagna e delle Marche447.
Costoro avevano preferito, per poter sopravvivere ed eventualmente migliorare la propria posizione sociale, abbandonare, rinnegare la fede cattolica per abbracciare quella maomettana. Sappiamo di casi eclatanti, quale ad esempio – fra i molti – quello di Uluch o Uluj Alì, un rinnegato di origini clabresi che addivenne al rango di comandante dell’armata navale turca sullo scorcio del XVI secolo. Quagliotti tuttavia si riferiva, è regionevole crederlo, ad un altrettanto spregevole rinnegamento, quello a favore dell’aborrita “peste” luterana o calvinista.
Casi accertati e sospettati ve ne furono diversi: tanti, forse più di quanti si potesse immaginare. Soprattutto, per l’Italia, al nord est, in area veneto-tridentina, ove era maggiore il contatto con i territori “infetti”, ma anche al nord ovest448.
Francesco, nel capitolo che ineriva le lezioni sullo spinoso argomento – “De gravitate peccati schismatis” ovvero “heresiae” – non esitava in prima battuta a definire “gravissimus” il comportamento di chi avesse accolto e, peggio, intendesse diffondere, le idee dell’ex agostiniano tedesco. Precisava poi che “...esse gravis peccatus haeresis” e che secondo la dottrina tomista poteva raggiungere una gravità incommensurabile “...secundum circumstantias et damna quae solet schisma importare Ecclesiae, quodquod schisma esse posse gravius peccatum quam haeresis”. La responsabilità di chi si macchiava di tale crimine sarebbe dunque stata variabile – “potest quis magis vel minus plene committere istud peccatum” a secondo di quanto si fosse (e avesse) allontanato dall’unità e dalla comunione della santa Chiesa “...pro ut magis vel minus separaverit se ab unitate et communione corporis Ecclesiae”.
447 Sull’interessante argomento, allora nient’affatto marginale ed anzi, specie in certe aree più frequente di quanto si immagini e in generale assai dibattuto, di particolare importanza risultano i mirati contributi di L. Rostagno, Mi faccio turco. Esperienze ed immagini dell’Islam nell’Italia moderna, Roma 1983, L. Bennassar, I cristiani di Allah, Milano 1991 (ed. orig. Paris 1989) e, da ultimo, quello di L. Scaraffia, Rinnegati. Per una storia dell’identità occidentale, Roma-Bari 1993.
448 Proprio in relazione a tale fenomeno e all’area elevetica, tanto vicina a quella novarese della quale ci si occupa qui, sono da segnalare le riflessioni – recentemente tradotte e commentate da B. Schwarz, con una prefazione di A. Prosperi – di uno storico svizzero del primo Ottocento Ferdinand Meyer, La comunità riformata di Locarno e il suo esilio a Zurigo nel XVI secolo, Roma 2005 (ed. orig. Berlin 1836), in cui (pp. 1-71) si approfondisce il tema dei numerosi “...esuli italiani nei Grigioni” nel corso del Cinquecento, quando diversi tra i baliaggi e i cantoni dell’antica confederazione accolsero i fuggiaschi italiani di ogni ceto e provenienza, allontanatisi dalla Penisola per motivi confessionali, quando l’azione informativa e la pressione repressiva inquisitoriale, sempre meglio organizzata, si stava attivando per individuare e punire i fautori italiani della Riforma. Si vedano inoltre, a proposito dei molti rifugiati italiani in alcune città elvetiche, le interessanti considerazioni – quantunque anch’esse non recenti, essendo riferibili a oltre quarant’anni or sono - contenute in J. Lecler, Storia della tolleranza nel secolo della Riforma, 2 voll., I, seconda rist. it., Brescia 2004, p. 413 ss.